Il racconto della giornata di lunedì 18 dicembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il Papa ha approvato la benedizione in chiesa delle coppie omosessuali: è una svolta quella pubblicata oggi in un documento ufficiale del Dicastero per la dottrina della fede. Oggi sciopero dei medici contro il governo e contro la manovra economica: si sono fermati i settori della sanità ospedaliera e territoriale, biologi, dirigenti sanitari, medici veterinari. La Russa dichiara che il Capo dello Stato negli anni si è preso poteri che la Costituzione non prevede e la riforma ora servirà a riportare i poteri dei presidenti nell’alveo costituzionale. Al Consiglio dei Ministri dell’Ambiente europeo l’Italia, unico paese, ha votato contro la direttiva sugli imballaggi.
La Chiesa Cattolica benedice le coppie omosessuali
Il Papa ha approvato la benedizione in chiesa delle coppie omosessuali. È una svolta quella pubblicata oggi in un documento ufficiale del Dicastero per la dottrina della fede, la massima autorità Vaticana in tema di dottrina della Chiesa Cattolica. Non è un matrimonio – specifica il documento – e deve essere distinta da ogni ritualità che possa confonderla con questo sacramento. Tuttavia è la prima volta che la Chiesa Cattolica dice sì alla benedizione. Il Dicastero – che un tempo si chiamava Congregazione e venne guidata in senso molto conservatore anche da Joseph Ratzinger – è ora guidata da Victor Manuel Fernandez, teologo argentino riformista e molto vicino a papa Francesco. A lui è stato affidato l’incarico di procedere con maggiori aperture.
Francesco Peloso, giornalista esperto di Chiesa e Vaticano, scrive sul Domani e sul settimanale Adista:
In sciopero le professioni sanitarie
Oggi sciopero dei medici contro il governo e contro la manovra economica: si sono fermati i settori della sanità ospedaliera e territoriale, biologi, dirigenti sanitari, medici veterinari. La percentuale di adesione è stata altissima secondo i sindacati, vicina al 90%: sono saltati molti interventi chirurgici non urgenti e visite. Il tema è quello delle pensioni, con i tagli e l’allungamento dell’età pensionabile che il governo ha promesso di correggere, ma per ora resta a 72 anni come previsto dalla manovra. E più in generale le condizioni del sistema sanitario nazionale che – dicono i medici – è in gravissima difficoltà per carenza di risorse.
La Russa e la riforma del premierato
(di Anna Bredice)
L’opposizione ironicamente ringrazia il Presidente del Senato perché ha tolto il velo di ipocrisia che copriva la proposta di riforma del premierato. La Russa ha detto chiaramente, salvo poi fare una rettifica ancora più confusa, che il Capo dello Stato negli anni si è preso poteri che la Costituzione non prevede e la riforma ora servirà a riportare i poteri dei presidenti, Mattarella in questo caso, nell’alveo costituzionale. Si deduce dalle parole di La Russa che il Presidente della Repubblica ha agito al di fuori della Costituzione. Il riferimento di La Russa è all’intervento del Quirinale nelle soluzioni delle crisi politiche, come è accaduto nel passato, nell’ultimo caso con Draghi, un potere quindi che secondo lui la Carta non gli dà. La Russa ne parla come un necessario “atto di salute” per la nostra Costituzione, detto così ne appare quasi come il difensore rispetto a chi la starebbe tradendo. La riforma voluta dal governo appare quindi come il modo di riportare il potere dalla parte del Presidente del Consiglio, rafforzandolo e togliendolo al Capo dello Stato. Meloni ci ha girato intorno per mesi, negando che i poteri del Quirinale verranno ridimensionati, ma la seconda carica dello Stato nei suoi modi spesso così diretti mette le cose in chiaro e svela quali sono le reali intenzioni del governo di destra: un governo forte, centrale, a discapito della separazione e l’equilibrio tra poteri, anche nei confronti del Presidente della Repubblica. Mattarella come al solito non dice nulla sulla riforma, non l’ha mai fatto, forse riservandosi di palarne durante il discorso di fine anno.
L’Italia contro la direttiva europea sugli imballaggi
(di Massimo Alberti)
Al Consiglio dei Ministri dell’Ambiente europeo l’Italia, unico paese, ha votato contro la direttiva sugli imballaggi. Come mai?
La direttiva sugli imballaggi è uno dei punti chiave del New Green Deal. E come sugli altri capitoli, ha visto un’attività di lobby delle industrie coinvolte molto pressante. Parliamo di tre settori: i produttori di imballaggi, plastica e carta, l’industria del riciclo e tutte quelle industrie del cibo veloce o della logistica, che guadagnano adottando il monouso, come Mc Donalds o Amazon, che non hanno lesinato energie e risorse nel cercare di convincere gli eurodeputati. Obiettivo era ridurre alla fonte la quantità di rifiuti prodotta da imballaggio e riciclare ciò che eventualmente resta. Il testo uscito dall’europarlamento era già stato fortemente edulcorato da una selva di emendamenti che di fatto hanno ridotto gli obiettivi di riduzione dei rifiuti e salvato il monouso. Già lì gli europarlamentari italiani di tutti gli schieramenti, con l’eccezione dei 5 stelle, si erano dimostrati molto sensibili all’attività di lobby documentata dalle ONG.
Il nuovo testo ora adottato dai ministri dell’ambiente, che sarà oggetto della trattativa definitiva, corregge al rialzo gli obiettivi, ed è una buona notizia. Non per in governo Meloni che oggi ha deciso un voto contrario che sembra più un messaggio interno. Da mesi Confindustria e i suoi media picchiano duro contro la direttiva. Meno rifiuti vuol dir meno materia prima e l’Italia ha forse la principale industria di riciclaggio europea e di produzione di imballaggi in carta, il cui presidente del consorzio europeo delle imprese è l’ex presidente di Confindustria D’Amato. Il problema è serio: il 40% della plastica e 50% della carta usati in Europa son destinati all’imballaggio, con previsioni di aumento. Una situazione dunque insostenibile. In Italia parliamo di 700mila imprese e un giro di affari di centinaia di miliardi. Ma come sta accadendo in altri settori per consenso interno il governo cerca la difesa sterile di un settore destinato a inevitabili cambiamenti, anziché far politiche industriali per una transizione necessaria e altrettanto inevitabile.