Il racconto della giornata di giovedì 9 novembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Una tregua di 4 ore ogni giorno e due corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili dal nord al sud della Striscia: questi sono i punti di un accordo che Israele avrebbe accettato, ma l’ufficialità non è ancora arrivata. La guerra in Medio Oriente, intanto, sta provocando in tutta Europa, e anche in Italia, una recrudescenza di atti e gesti antisemiti. Il confronto fra governo e sindacati sull’ex Ilva si è concluso con la proclamazione di otto ore di sciopero in tutti gli stabilimenti.
Verso una tregua umanitaria di 4 ore al giorno a Gaza?
La guerra a Gaza. Una tregua di 4 ore ogni giorno e due corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili dal nord al sud della Striscia: questi sono i punti di un accordo che Israele avrebbe accettato. Ad annunciarlo è stato oggi il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale americana, John Kirby. La Casa Bianca poco dopo però ha precisato: non si parla di un cessate il fuoco. Da Tel aviv per ora non c’è una conferma ufficiale.
(di Sara Milanese)
Da giorni l’esercito israeliano annuncia l’apertura di corridoi umanitari da Gaza City e verso il sud della striscia; ora, alla luce di quanto dichiarato da John Kirby, sembra che questa tregua quotidiana dei bombardamenti rientri nelle richieste fatte da Washington a Tel Aviv.
Israele ora avrebbe concordato l’apertura di un secondo corridoio, che sarà attivato lungo la costa. Kirby ha parlato di “un passo nella giusta direzione”. Washington spinge anche per un aumento dei convogli umanitari che entrano nella striscia dal valico di Rafah: “L’obiettivo è di far entrare 150 camion al giorno”, ha detto Kirby.
Dalla Casa Bianca però il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden è intervenuto per precisare che “Non esiste nessuna possibilità” di un cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Un concetto ribadito dallo stesso Netanyhau, che non ha formalmente confermato gli annunci americani, ma ha dichiarato nuovamente che il cessate il fuoco con Hamas è escluso.
Hamas intanto oggi ha diffuso i video di due degli oltre 240 ostaggi rapiti lo scorso 7 ottobre. Si tratta di Hannah Katzir, di 77 anni, e Yagil Yaakov, 13 anni, entrambi rapiti dal kibbutz Nir Oz. I miliziani hanno dichiarato che intendono liberarli. Entrambi hanno infatti bisogno di cure mediche, la donna è anziana e il ragazzo soffre di allergie alimentari.
I video e l’annuncio della loro possibile liberazione arrivano mentre a Doha intanto sono in corso i negoziati per la liberazione di tutti gli ostaggi. Tra i presenti il capo della Cia, Bill Burns, e quello del Mossad, David Barnea. Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha invece incontrato oggi al Cairo il capo dell’intelligence egiziana.
La preoccupante recrudescenza di gesti antisemiti
La guerra in Medio Oriente ha provocato, in tutta Europa e anche in Italia, una recrudescenza di atti e gesti antisemiti. A Roma sui muri del quartiere ebraico e di Trastevere sono comparse questo pomeriggio alcune scritte antisemite: stella di David uguale svastica, vi si legge. Al ghetto, sempre nella capitale, nei giorni scorsi erano state bruciate alcune pietre d’inciampo poste a ricordo di deportati nei lager nazisti. Oggi si è svolta in parlamento una seduta della commissione per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio. In apertura dei lavori è intervenuta la presidente, Liliana Segre:
La questione dell’antisemitismo è tema di preoccupazione e dibattito anche in altri Paesi. La polizia di New York ha detto oggi che in città nell’ultimo mese gli attacchi di matrice religiosa sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. In Canada nella notte sono stati esplosi colpi d’arma da fuoco contro due scuole ebraiche. In Francia sono oltre mille gli episodi antisemiti registrati dal 7 ottobre in poi. Della questione ha parlato oggi in Germania il cancelliere Scholz, in un discorso in occasione dell’anniversario della notte dei Cristalli. Da Berlino, Alessandro Ricci:
Nulla di fatto dal governo Meloni per l’ex Ilva: i sindacati proclamano lo sciopero
(di Massimo Alberti)
Ex ilva, il governo continua a lavarsene le mani e ad aspettare le scelte di Arcelor Mittal. Nulla di fatto nell’incontro di oggi con i sindacati che proclamano un nuovo sciopero. Mentre l’ex acciaieria più importante d’Europa continua il suo declino.
Non che ci fossero grandi aspettative, ma nell’incontro di oggi con i sindacati il governo ha confermato il proprio vuoto su qualsiasi idea di politica industriale ed ambientale. Non solo i ministri non si sono fatti vedere, ma i loro capi di gabinetto si son limitati a ribadire che si attende cosa deciderà Arcelor Mittal, cioè il socio privato di maggioranza cui, sciaguratamente, Calenda da ministro affidò l’acciaieria. Da lì il declino accelerato: migliaia di lavoratori costantemente in cassa integrazione, e non solo denunciano i sindacati, la carenza di manutenzione che mette a rischio chi lavora ed amplifica l’inquinamento che devasta Taranto, in un declino strutturale oltre che economico con la produzione di quella che dovrebbe essere la più grande acciaieria d’Europa scesa sotto i 3 milioni di tonnellate, mentre lo stato continuava a pompare soldi pubblici di fatto finiti a finanziare il socio privato.
Oggi il governo ha ribadito in sostanza che l’ipotesi di diventare maggioranza è lettera morta e che serve aspettare il 23 novembre prossimo con l’assemblea dei soci, in cui si auspica che Arcelor Mittal faccia chiarezza sulle sue reali intenzioni, dopo l’incredibile firma dell’accordo l’11 settembre scorso all’insaputa del socio pubblico, Invitalia.
I sindacati hanno definito l’incontro di oggi disastroso, e proprio per il 23 tutti hanno indetto un nuovo sciopero di 8 ore. Col colosso franco-indiano che non ha dato garanzie sul nuovo aumento di capitale, necessari non solo per rilanciare la produzione e intervenire sugli impianti, ma per proseguire l’attività stessa. Sempre che abbia un senso, proseguendo l’agonia di una fabbrica lasciata a sé stessa tanto dal socio privato quanto da quello di stato, a riprova che politiche industriali pubbliche non sono una priorità, ma lontani ricordi.