Il racconto della giornata di giovedì 22 febbraio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Le ultime dichiarazioni a proposito di un possibile cessate il fuoco sembrano più ottimiste e gli Stati Uniti puntano a raggiungere un accordo prima del Ramadan mentre nella striscia di Gaza la situazione umanitaria peggiora di ora in ora. La Commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato l’emendamento sul terzo mandato e questo ha creato una frattura anche all’interno del Partito Democratico. Oggi il governo ha anche ufficialmente accertato il ritardo nell’utilizzo dei fondi del Pnrr.
I tentativi di accordo per un cessate il fuoco continuano
L’inviato della Casa Bianca in Israele, Brett McGurk, ha incontrato oggi il primo ministro israeliano Netanyahu e il ministro della difesa Gallant, nell’ultimo tentativo di arrivare ad un accordo per un cessate il fuoco. Le ultime dichiarazioni – sia da parte israeliana che da parte palestinese – sembrano più ottimiste, e gli Stati Uniti puntano a raggiungere un accordo prima del Ramadan, che inizierà tra meno di tre settimane. Il ministro della difesa israeliano, incontrato l’inviato statunitense ha detto che verrà ampliato il mandato dato ai negoziatori, ma ha anche annunciato che l’esercito si sta preparando per ampliare la propria operazione di terra e, quindi, ad invadere Rafah. Domani il capo della CIA William Burns sarà a Parigi, dove incontrerà le intelligence egiziane e qatariote. Israele non ha ancora confermato se invierà anche il capo del Mossad, probabilmente dipende da quanto emerso dai colloqui con la delegazione di Hamas al Cairo, che dovrebbero concludersi oggi. Ma si sta effettivamente muovendo qualcosa? Lo abbiamo chiesto a Francesca Borri, giornalista, esperta di Hamas per il quotidiano israeliano Yediot Ahronoth:
La situazione umanitaria a Gaza è sempre più grave
Intanto la situazione umanitaria peggiora. L’OMS ha definito la striscia di Gaza una zona di morte. Secondo il World Food Programme, nel nord della striscia 1 bambino ogni 6 sotto i due anni soffre la fame.
(di Martina Stefanoni)
Dal 7 ottobre a Gaza sono entrati circa 10mila camion con aiuti umanitari. Più o meno la quantità che prima della guerra entrava ogni mese. Nelle ultime settimane il numero di convogli che hanno attraversato i valichi di Rafah e Karem Shalom è diminuito. A gennaio è stato negato l’accesso al 56% delle consegne, rispetto al 14% del periodo da ottobre a dicembre.
Da più due settimane dal lato israeliano del valico di Karem Shalom un centinaio di manifestanti si sono accampati con tende e cartelli per impedire che anche quel poco che passa i controlli già molto limitanti dell’esercito israeliano raggiunga la popolazione della striscia di Gaza, che sta già morendo di fame, oltre che per le bombe e le malattie. Un rapporto del World Food Programme stabilisce che nel nord della striscia 1 bambino ogni 6 sotto i due anni è gravemente malnutrito. Questo significa che le famiglie saltano non un pasto o due, ma a volte non mangiano per giorni. L’Unrwa ha dovuto sospendere le consegne di aiuti nel nord il 23 gennaio, due giorni fa lo ha fatto anche il Pam. Perchè distribuire il cibo sotto le bombe è impossibile, perché l’esercito israeliano spara sui convogli e perché la popolazione disperata li prende d’assalto.
Fame significa che anche quando le bombe smetteranno di cadere, e il cibo ricomincerà ad entrare nella striscia, le persone continueranno ad ammalarsi e a morire, perché alcuni danni provocati dalla malnutrizione – soprattutto nei bambini – sono per sempre. La farina è introvabile e le persone hanno iniziato a frullare il mangime per gli animali e mischiarlo con l’erba per fare delle focacce. Anche l’acqua non c’è. Ci sono filmati di persone che scavano nella terra per raggiungere le tubature sotterranee dell’acqua, per bere e lavarsi. Al sud la situazione è leggermente meglio, ma con l’intensificarsi dei combattimenti tra Khan Younis e Rafah, nell’ultima settimana nessun convoglio ha attraversato il valico con l’Egitto. E senza un cessate il fuoco, e ancora di più se Israele invadesse Rafah come annunciato, la situazione rischia di precipitare, fino al punto in cui tornare indietro sarà molto più difficile.
Meloni vince il primo round della partita delle candidature alle regionali
(di Anna Bredice)
Come era prevedibile, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato l’emendamento sul terzo mandato. Matteo Salvini ne era consapevole – ci sono stati solo quattro voti a favore, tre dei suoi e uno di Italia Viva – ma ha voluto arrivare fino alla conta per sfidare Giorgia Meloni. Si tratta di un primo round della partita delle europee che sarà di tutti contro tutti, ogni partito va per sé, compresi quelli di governo con la Lega che rischia di prendere meno voti ancora di Forza Italia. Ci sono poi le regionali dei prossimi due anni e la volontà di Fratelli d’Italia di prendersi quelle regioni che non ha mai potuto conquistare, prima tra tutte il Veneto. Solo Zaia avrebbe garantito la tenuta della Lega e ora, se una legge sul terzo mandato non verrà fatta nei prossimi mesi, la strada per Giorgia Meloni sarà più in discesa. Oltre al Veneto potrà puntare anche sulla Campania. Non c’è infatti solo il Veneto, anche se Salvini il braccio di ferro l’ha intrapreso per Zaia, forse anche per non averlo come competitore interno alla guida del partito. Ci sono governatori come De Luca, Bonaccini ed Emiliano che avrebbero voluto un sì al terzo mandato. Tutti presidenti regionali del Partito Democratico, un partito che ha atteso fino all’ultimo momento per decidere come votare: alle 13 ancora non era stata presa nessuna decisione, se uscire dalla commissione oppure votare no.
Alla fine ha prevalso questa scelta, Pd, Cinque Stelle, Verdi e Sinistra Italiana hanno votato no, insieme a Fratelli d’Italia e Forza Italia. De Luca non sarà affatto contento di questo risultato, Schlein è sempre stata scettica rispetto ad un terzo mandato, ma nulla toglie che nei prossimi mesi possa cambiare la legge. Per ora la partita delle candidature alle regionali gioca un punto a favore di Giorgia Meloni. Dopo il risultato nel fine settimana del voto in Sardegna, se questo sarà negativo per la Lega, Salvini aumenterà e continuerà il suo gioco di contrasto con l’alleata di governo.
Il primo vero strappo tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini
(di Michele Migone)
La crepa appare profonda. I senatori del PD in commissione votano contro il terzo mandato e Energia Popolare, la corrente che fa capo a Stefano Bonaccini, il presidente del partito e governatore dell’Emilia Romagna si infuria. Una nota fatta uscire parla di forte disappunto, di mancato rispetto dell’accordo preso in direzione, accusano Elly Schlein di non aver salvaguardato l’unità del partito. Fino alle 13, racconta una fonte vicino a Bonaccini, la posizione del PD era di non partecipare al voto in commissione al Senato. Poi è arrivato a sorpresa un sms che indicava invece di votare contro il terzo mandato. “Lo abbiamo fatto per disciplina di partito, ma il percorso di ricerca di una posizione comune sul tema, iniziato in direzione, è stato così vanificato”, aggiunge. La necessità di mantenere una compattezza con il Movimento 5 Stelle è stata la giustificazione per il no deciso dalla Schlein, ma secondo l’esponente di Energia Popolare il contraccolpo dentro il partito di quello che è considerato una sorta di schiaffo alla minoranza sarà significativo. Fonti vicino a Elly Schlein negano invece che sia stato rotto un patto. Visto la mancanza di un accordo, nella direzione di lunedì scorso era stato deciso di dare vita a una commissione speciale che trovasse una sintesi tra sostenitori e oppositori del terzo mandato per gli amministratori locali. Il risultato prodotto, dicono sempre le fonti vicine alla segreteria, sarebbe stato poi utilizzato in una più ampia proposta di riforma elettorale. Il voto di oggi, affermano queste fonti, non c’entra nulla con quel percorso. La pensa in modo radicalmente diverso l’ala di Bonaccini. E, a un anno dalla vittoria di Elly Schlein su Stefano Bonaccini questo è il primo vero strappo tra i due avversari delle primarie.
L’Italia ha speso circa 45% dei fondi del Pnrr ricevuti dall’UE
Il ritardo nell’utilizzo dei fondi del Pnrr ora è ufficialmente accertato dal governo. Nella sua quarta relazione sull’attuazione del piano, presentata oggi, il ministro Fitto è stato costretto a mettere nero su bianco i numeri che lo provano.
(di Alessandro Principe)
45 su 101. Meno della metà. È quanto l’Italia ha speso dei soldi ricevuti dall’Europa nei primi tre anni del Pnrr. E il risultato peggiore è quello del 2023, il primo anno completo con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e Raffaele Fitto al ministero dedicato. L’anno scorso, infatti, sono stati spesi 21 miliardi di euro, meno rispetto al biennio di partenza, e soprattutto la metà di quanto previsto dallo stesso governo nella Nota di aggiornamento al Def del 2022. Ma non è finita. Nei 45 miliardi spesi fin’ora ci sono anche i crediti di imposta, soprattutto quelli dei bonus edilizi, tra cui il super bonus 110%. E poi altri incentivi che non richiedono azioni attive della pubblica amministrazione. Se togliamo questa categoria – che non mette in gioco la capacità del governo e degli altri enti pubblici – la spesa scende a 31,7 miliardi, il 31% dei soldi arrivati dall’Europa. Il punto non è tanto il giudizio di Bruxelles, almeno per adesso. La Commissione ha dato fin’ora sempre il via libera alle rate. Il punto è che l’Italia rischia di perdere un’occasione storica. Quella di fare un salto in avanti. Di modernizzarsi, di diventare più efficiente, grazie a questa enorme massa di denaro a disposizione. Aveva avvertito la Corte dei Conti, solo qualche giorno fa, ignorata dal governo. Ritardi, irregolarità, poca trasparenza. Come succede con i Fondi europei, quelli ordinari. E’ un vecchio tema mai risolto. L’Italia ha sempre avuto il record dei soldi non spesi, parliamo di miliardi buttati. È la stessa cosa, ma in una dimensione molto, molto più grande.
Mark Rutte raccoglierà il testimone di Stoltenberg alla Nato?
Mark Rutte potrebbe essere il prossimo segretario della Nato. Lo dice la testata Politico, secondo cui il primo ministro olandese, in uscita dal suo ruolo, sarebbe sostenuto dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. È probabile – scrive il giornale – che il sostegno di Biden spinga più alleati ad unirsi alla nomina di Rutte.
Perché Rutte sarebbe il profilo giusto per Washington a raccogliere il testimone di Stoltenberg? Jacopo Barigazzi, giornalista di Politico.eu, la testata che oggi ha dato la notizia: