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Le regole per la riapertura delle scuole: studenti al 75% e orari scaglionati

covid e scuola, riapertura scuole

Maddalena Gissi, segretaria generale del CISL scuola e Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, commentano a Radio Popolare l’accordo sulla riapertura delle scuole siglato ieri tra Regioni e Governo.

L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Gissi, in questo accordo stretto ieri tra Governo e Regioni, cosa c’è di buono secondo lei? Cosa invece manca?

C’è di buono che finalmente in alcune realtà come Milano c’è stato uno studio approfondito e sono state valutate anche attraverso una ricerca possibili soluzioni. Una riflessione che forse doveva arrivare un po’ prima e poteva essere utilizzata meglio d’estate. Potevano essere usati meglio anche i finanziamenti invece di rincorrere i banchi a rotelle. Cosa c’è che ci lascia perplessi? Ci sono dei turni che mettono in difficoltà gli alunni. Anche i professori sicuramente vivranno momenti complicati, non tutti hanno una sola cattedra e insegnano su più plessi o scuole. Probabilmente l’organizzazione al 50% è un po’ più flessibile e quindi permette una ridistribuzione degli orari. C’è un problema di sanificazione degli ambienti, perché al pomeriggio le scuole dovranno prevedere una sanificazione prima dell’ingresso dei ragazzi, al termine e poi rendere un po’ la situazione da un punto di vista organizzativo più funzionale. Poi questi ragazzi tornano a casa alle 17. Ho visto le turnazioni, possono terminare anche alle 16 e in alcuni indirizzi c’è la necessità di farlo. Devono tornare a casa, avranno magari da fare degli approfondimenti da fare a casa, c’è un’interruzione per un panino (in alcune realtà non esistono le mense). Ci sono tante perplessità. E’ molto importante che i ragazzi rientrino. In alcune realtà le scuole si erano già organizzate e avevano lavorato per un rientro al 50% senza fare tante questioni. Facciamo la solita considerazione: la scuola viene utilizzati, in molti casi non coinvolta. Ci sono voluti prefetti, che hanno coinvolto dei referenti dei dirigenti, gli uffici scolastici provinciali hanno lavorato per dare un assetto più o meno definitivo. Ho sentito Marco Bussetti, l’ex Ministro, che ha messo a posto tutti i tasselli per il 75%. Noi ce lo auguriamo, perché la scuola in presenza è sicuramente molto più importante. Siamo preoccupati, anche perché avremmo preferito che una discussione sulla scuola potesse essere realizzata a partire da maggio, giugno. Avremmo avuto sicuramente tante soluzioni. La scuola primaria e di primo grado non si è mai fermata, e ora finalmente nell’intesa vediamo dei riferimenti al tracciamento, all’immediato intervento laddove ci sono dei casi. Oggi ci sono degli allarmi perché il tracciamento è stato deleterio per alcune realtà. L’interruzione è stata molto pesante per i bambini e i ragazzi che dovevano frequentare regolarmente. Speriamo che con questa intesa ci sia un impegno reale.

Sono previste assunzioni e soldi in più per mantenere la scuola aperta?

Da quello che leggiamo, non assunzioni ma un riconoscimento per l’attività aggiuntiva che va verso l’idea degli straordinari. Lo straordinario ha un senso quando si parla di personale ATA, perché si organizzano le attività, ma aggiungere ore di servizio al personale docente che deve organizzare un’attività cercando di coprire dei buchi non è la stessa cosa. Abbiamo visto nell’ultimo decreto approvato in Parlamento l’impegno per 5 milioni per far fare attività di recupero ai ragazzi, ma 5 milioni per le scuole sono 1000 euro a scuola. Hanno come riflesso, in termini di ore da distribuire per fare di attività di recupero, molto poco. Metteranno a disposizione 5/6 ore per qualche docente, non tutti sicuramente. I provvedimenti vengono rilanciati però sembra che ci sia questo invito a un impegno del Governo ad incrementare il piano del nostro fondo d’istituto, il piano dell’offerta formativa. Non abbiamo certezze. Vedremo con quali criteri verranno distribuiti. Il personale ATA è molto anziano in tante realtà, e alcuni sono molto fragili. Dir loro di rimanere dal mattino sino alle 8 di sera diventa un po’ complicato. Dobbiamo capire anche con quale modalità organizzative.

Giannelli, voi presidi siete stati coinvolti in queste riunioni sulla riapertura delle scuole. Qual è stata la vostra parte nell’accordo tra Regioni e Governo, e in generale cosa c’è di buono? Cosa manca?

Il coinvolgimento è stato a macchia di leopardo, perché nel DPCM del 3 dicembre non era esplicitata la partecipazione dei dirigenti scolastici. In alcune realtà più illuminate si è capito che l’apporto dei presidi era assolutamente insostituibile, in quanto sono i soggetti che conoscono meglio di tutti le problematiche relative al funzionamento delle scuole sui specifici territori. Devo dire che la filosofia di base delle nostre richieste è stata recepita, e quindi la percentuale di presenza dei studenti delle scuole secondarie di secondo grado è stata portata a un più ragionevole 50%. Con le difficoltà attuali era preferibile così. Adesso bisogna ragionare sui scaglionamenti. Non ha alcun senso imporre una misura di scaglionamento identica per tutti, bisogna vedere scuola per scuola. Ci possono essere addirittura scuole in cui questo è controproducente, come quelle in piccoli centri di provincia dove magari problemi di traffico non ce ne sono e quindi non si capisce perché sottoporre studenti e personale all’impatto di un doppio turno, un scaglionamento che prevede che i studenti escano addirittura alle 4 o le 5 del pomeriggio.

Il problema maggiore per voi presidi in questa riorganizzazione qual è?

Naturalmente il rifacimento degli orari. L’orario scolastico è qualcosa di molto complesso, probabilmente non si riesce a percepirlo all’esterno delle scuole. Consideriamo che spesso ci sono docenti su più scuole, e quindi bisogna coordinare gli orari di una scuola con quelli dell’altra, è un incastro. Come tutti i problemi a incastro, richiedono molto tempo per essere messi appunto e non sono di facile soluzione. Una volta trovate le soluzioni per una certa situazione e di controllo, se cambia il controllo la situazione cambia completamente. E’ questo quello che si dovrà fare da ora fino al 7. La carenza cronica nella scuola italiana è sempre una: le risorse. 5 milioni non sono niente, perché le scuole coinvolte sono circa 2700. Se uno comincia a fare le divisioni, vede che non sono tanti soldi., per quello che c’è da fare e per l’esigenza di coinvolgimento di tanti docenti. Se dobbiamo parlare di recupero, ovviamente si deve farlo per ogni classe e non su una sola materia. Si arriva subito a cifre di centinaia di milioni. Quando diciamo più volte che sulla scuola bisogna investire, bisognano seguire i fatti, non basta un’elemosina. Servono investimenti strutturali. La spesa per la scuola deve aumentare moltissimo rispetto a quella che facciamo in Italia, in cui le dedichiamo una percentuale di PIL molto più bassa dell’UE. Questa è una delle ragioni per cui la nostra scuola ha molti più problemi delle scuole dell’UE. Non dipende semplicemente dal metodo didattico o specifiche politiche. Il primo fatto è aumentare le risorse economiche, ma di tanto. In quest’anno sono stati messi più soldi, va dato atto al Governo e alla Ministra, ma sono state misure dettate dall’emergenza. Vorremmo vedere un impegno economico maggiore per la scuola a regime.

Per quanto riguarda la riorganizzazione dell’arrivo a scuola nell’ora di punti, con in mezzi pubblici, lei ha seguito i tavoli nelle prefetture delle grande città? Come stanno riorganizzando il trasporto pubblico per le scuole? Gran parte dei contagi, soprattutto nel caso dei studenti delle scuole superiori, avviene anche sui mezzi pubblici.

Avviene sui mezzi pubblici, in famiglia e anche in tutte quelle attività extrascolastiche dove di fatto non si sono rispettate le regole, che a scuola sono state rispettate. I docenti han fatto tenere la mascherina a tutti, nei tempi previsti. Anche il distanziamento e il lavaggio continuo delle mani. Sui mezzi pubblici questo non è accaduto, perché? Credo che, come spesso accade nel nostro Paese, si rinviino i problemi spinosi, specialmente quando non sono semplici da risolvere, e quello dei trasporti non lo è. Sarebbe servito disporre più di risorse economiche da subito, da marzo/aprile. Pensare che si doveva aumentare il numero dei mezzi, assumere più persone laddove necessario, uno sforzo che la scuola ha fatto assumendo 70000 persone in più, su una quantità di risorse umane che ammonta circa a un milione. Si poteva fare qualcosa di analogo anche nel settore dei trasporti e nella sanità, in cui si è cominciato a fare un po’ tardivamente. Noi abbiamo suggerito di prevedere un “Organico COVID”, un insieme di persone a scuola per una situazione eccezionale.

E’ riuscito a farsi un’idea dei lavori nelle varie prefetture per la ripresa?

Anche lì è tutto molto a macchia di leopardo. L’idea di lavorare per tavoli provinciali è risultata sicuramente preferibile e vincente rispetto al passato, in cui si sono dettate solo regole nazionali o a livello di Regione. Quello che conta a scuola è il singolo bacino di utenza, quindi le province già sono un territorio più limitato e idoneo, ma bisogna andare ancora più in dettaglio. Più volte abbiamo detto che queste sono decisioni che avrebbero dovuto prendere le singole scuole, ma non da sole, assistite con un sistema di database che tenesse conto di questi fattori, sistemi che in Italia non esistono. Abbiamo un’informatizzazione molto bassa in questo paese, in cui non si tiene conto di alcune centrale operativa che riesce a gestire tutti questi dati relativi alla nostra complessità sociale e che possano essere utili nei casi di necessità. Servirebbe conoscere i flussi di traffico su ogni singolo mezzo pubblico che vanno nelle direzioni di ogni singola scuola. In alcune province questo era presente, in tante altre no.

E’ più fiducioso o rischiamo un passo falso, come a settembre?

Sono più fiducioso. Essere passati a una scala geografica più ridotta garantisce di per sé una migliore efficacia dell’azione. Quello che servirebbe in più è più flessibilità e volontà di collaborare dal sistema dei trasporti pubblici, che tende a vedersi come un sistema rigido. Ciò falsa tutto quanto perché i trasporti servono a trasportare le persone sulla base delle esigenze, e quindi devono essere un servizio asservito alla nostra società. Non possono diventare un vincolo.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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