Sulle primarie per scegliere i candidati sindaci Matteo Renzi sta applicando un ragionamento semplice: per risolvere un problema politico si possono anche cambiare le regole. In altre parole, Renzi vorrebbbe delle primarie con regole cucite su misura. Ecco perchè la direzione del Pd ha deciso di fissare una data unica per il voto, con posticipo a marzo 2016. Si tratta di prendere tempo per affrontare le questioni ancora irrisolte. A Roma e a Napoli soprattutto ma anche a Milano. L’appello a non discuterne più fino a gennaio è il tentativo di evitare che il dibattito o meglio, in molti casi, lo scontro attorno a nomi e prospettive continui a essere pubblico, con danno politico conseguente. Nella Capitale tutto è in stallo. Non si riesce a trovare uno straccio di candidato credibile. Nomi non ne circolano, nemmeno sussurrati all’orecchio, nemmeno per sentito dire. E poi c’è il Giubileo e la tensione altissima a causa delle minacce terroristiche. Nessuno vuole esporsi in questo momento ma il Pd non può davvero rassegnarsi a consegnare la città alle opposizioni. Serve tempo. Molto tempo. Anche a Napoli occorre tempo. Il caso Bassolino è l’ulteriore motivo di frattura con la minoranza interna decisa a sostenerlo. Per fermare l’operazione Renzi è disposto a vagliare una norma contra personam. Un lodo anti-ex: chi è già stato sindaco non potrà partecipare alle primarie. Una regola sartoriale per evitare il ritorno di un candidato inconciliabile perchè rimasto d’alemiano. Tra rinvii e modifiche in corsa del regolamento le primarie rischiano di venire stravolte ma Renzi è disposto a correre il rischio. Del resto, a Napoli, la difesa di Bassolino da parte delle correnti di minoranza mostra una certa loro debolezza, costrette come sono ad arroccarsi su un personaggio politico che guidò la città oltre 20 anni fa, nella prima stagione dei sindaci e che, al Comune di Napoli prima e alla Regione Campania poi, costruì una propria, fitta rete di potere. Un po’ come il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, sostenuto e criticato a parti inverse. Poi c’è Milano. Dove si tenta di fare sopravvivere una formula di centrosinistra che altrove si è già dissolta all’avanzare del modello renziano del partito a vocazione maggioritaria. Milano è il punto di resistenza maggiore allo slittamento delle primarie, per il no di Sel e di parte del Pd. Roma in ogni caso è decisa a imporre una data diversa da quella già fissata del 7 febbraio, a costo di rompere l’alleanza. Bisogna preparare il terreno a Giuseppe Sala, garantirgli un tempo congruo per la campagna elettorale. Sempre più in queste ore si nota il silenzio dell’ex commissario di Expo. Il quale è preoccupato dalle tensioni sul suo nome ma anche rincuorato da un’indagine riservata del partito secondo cui la grande maggioranza degli iscritti lo voterebbe.
Roma, Napoli, Milano, Bologna e Torino. Al Nazareno hanno in mente l’incubo della sconfitta in Liguria e l’inquietudine della vittoria in Campania con un candidato che si è imposto in virtù del suo potere personale. Sono due esempi che vengono citati come casi di scuola per dimostrare cosa accada lasciando troppo spazio ai vertici locali. Il voto del prossimo anno sarà un test politico fondamentale. “Non possiamo perdere quindi sì, il partito interviene, sceglie e se serve cambia le regole” spiegano voci che conoscono bene il pensiero del segretario.