L’operazione appare sempre più chiara: svincolarsi dal risultato finale del referendum, spersonalizzarlo dopo aver fatto l’errore di annunciare che sarebbe “tornato a casa” se il Sì avesse perso.
Matteo Renzi sta preparando il terreno per dire apertamente che non si dimetterà in caso di sconfitta. Un’inversione di 360 gradi rispetto a quello che ha ripetuto per mesi: o vinco o me ne vado.
Ma, di fronte ai sondaggi che danno in vantaggio il No; di fronte a una difficile mobilitazione del suo elettorato (freddino sulla questione), il Presidente del Consiglio ha capito che l’unico modo per uscire dal cul de sac in cui egli stesso si è infilato è quello di perdere la faccia (ma non la poltrona).
Siamo alla seconda tappa del suo cammino verso la presa di distanza dall’esito del referendum. Nella prima, Matteo Renzi aveva detto di non essere lui il padre della riforma: “E’Giorgio Napolitano” – aveva spiegato in un intervento pubblico.
Poi è venuto l’incontro della Versiliana. “Comunque vada – ha spiegato il Presidente del Consiglio – si voterà nel 2018“. Cosa significa? Che non ci sarà una crisi di governo che porterà a elezioni prima (anche in caso di vittoria del No al referendum, pare proprio di capire).
Niente elezioni, quindi niente crisi di governo, dunque niente dimissioni di Matteo Renzi. Sembra tutto abbastanza logico, no? Se poi, come è pronto a scommettere, riuscirà a passare indenne il delicato passaggio del congresso del Pd nel 2017, perché dovrebbe tornarsene a casa?
“O vinco o me ne vado” era il mantra di Renzi fino a qualche settimana fa, quando non si era ancora accorto di non essere più il Re Mida di una anno fa; mantra sostituito ora da un altro “E’stato un errore personalizzare il referendum in questo modo”.
Tutto questo non significa che Matteo Renzi non cercherà di vincere quella consultazione a tutti i costi. La macchina della propaganda del Sì è in moto e lo sarà fino all’ultimo.
Se dovesse vincere, sarebbe il suo trionfo. Ma anche in caso di sconfitta, ci sarà una via d’uscita. Quella che il presidente del consiglio si sta costruendo in queste settimane.
Per lui andrà tutto liscio? E’probabile di si. Una sconfitta sarebbe pesante da digerire, ma non impossibile. Magari a pagarne le conseguenze sarà il ministro che più di tutti ha legato il suo nome alla riforma costituzionale: Maria Elena Boschi.
Ma, se si trova una via d’uscita per Renzi perché non si dovrebbe trovare anche per lei?
Rimarranno ai loro posti. Anche in nome di una stabilità politica che l’Europa chiede all’Italia, la grande malata della zona Euro.
Un stabilità che passa attraverso una vittoria del Sì, come verrà detto prima del voto, e che poi, in caso di sconfitta, passerà invece attraverso la necessità di non peggiorare la situazione con una crisi di governo e con nuove elezioni.