Solo depistaggi nella vicenda Giulio Regeni. I poliziotti egiziani che tennero sotto controllo il ricercatore italiano prima del suo arresto hanno raccontato versioni discordanti durante gli interrogatori: contraddizioni, omertà e bugie. Dunque la procura di Roma ha chiesto – tramite una nuova rogatoria – i verbali di interrogatorio di altri cinque agenti.
Si tratta di ufficiali della National Security e del Dipartimento investigazioni municipali del Cairo. Furono loro a occuparsi di Regeni dopo che il ricercatore fu denunciato da Said Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti del Cairo. Abdallah lo aveva venduto come “spia” straniera.
I magistrati di Piazzale Clodio si aspettano che la procura egiziana risponda alla rogatoria nel giro di un mese, entro Pasqua. Il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e del pm Sergio Colaiocco hanno sentito al telefono i magistrati del Cairo, che hanno promesso piena collaborazione. Ma si tratta solo di parole: le indagini proseguono con estrema fatica.
Comunque gli investigatori italiani hanno fatto diversi passi in avanti nelle ultime settimane. Sono convinti che Giulio Regeni sia stato sorvegliato dai servizi segreti egiziani non per pochi giorni, ma per quasi due mesi prima di essere sequestrato, torturato e ucciso: dall’8 dicembre 2015 fino a pochi giorni prima della sua sparizione, il 25 gennaio 2016.
I magistrati italiani sono convinti anche che Giulio, in quella settimana di atroci torture, non fu tenuto in una casa privata, ma in un luogo di reclusione adatto allo scopo. Non sono ancora riusciti a individuare il luogo, e questa forse sarà la prossima tappa delle indagini.
Inoltre sembra che ci sia un collegamento fra i sette agenti che sorvegliarono Regeni e i tre che nel marzo successivo uccisero alcuni pregiudicati egiziani tentando poi di attribuire loro il rapimento e l’uccisione di Giulio. Il collegamento emerge da analisi dei tabulati telefonici effettuate in Italia.
I due gruppi si telefonarono a lungo fra loro e emergono anche telefonate fra i dieci agenti e alcuni numeri che fanno capo ai servizi di sicurezza egiziani. I magistrati italiani vogliono sapere a chi appartengono quei numeri, perché lì potrebbero nascondersi i “registi” dell’intera vicenda.