Il governo egiziano ci riprova. Nelle scorse ore sono state diffuse le foto dei documenti di Giulio Regeni e si è detto che erano a casa di un parente di un membro di una banda di rapitori. Il gruppo è stato attaccato dai militari e cinque persone sono state uccise. Le autorità del Cairo rilanciano la pista della criminalità comune dietro la morte del ricercatore, scomparso nella capitale il 25 gennaio e trovato morto dieci giorni dopo.
“Siamo di fronte all’ultima di una serie di versioni inattendibili”, attacca ai nostri microfoni Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che guida una campagna sulla vicenda. “La ricostruzione presentata nelle scorse ore è tra le più offensive. Spetta all’Italia reagire nel modo più netto, manifestando insoddisfazione e protesta per il modo in cui le autorità egiziane gestiscono le indagini. Dicono di voler collaborare, ma non mi pare che sia così. Il nostro impegno per la verità continua”.
Reazione negativa anche dal senatore Pd Paolo Corsini, vicepresidente della commissione esteri. “La notizia è inquietante”, ci dice, “a maggior ragione perché il governo del Cairo dice di collaborare. Il sospetto è che voglia mettere una pietra tombale sul caso, ma gli interrogativi iniziali sono ancora tutti lì. Quali sono le responsabilità politiche? Cosa c’è sotto questa vicenda? Bisogna esigere dal governo egiziano tutta la documentazione reperibile e l’impegno a portare la luce le vere responsabilità, che secondo me rimandano ai terreni della politica e dell’economia”.