La posta in gioco è molta alta, la riforma della Costituzione, ma sette mesi e più di campagna referendaria non sono pochi per un Paese come l’Italia che naviga in cattive acque.
Ventotto settimane, quelle che dividono il 2 maggio, il giorno in cui Matteo Renzi diede vita ai comitati referendari a Firenze, dal 4 dicembre, la data scelta per la consultazione, in cui il mondo politico si è concentrato solo ed esclusivamente sul tema: Renzi perderà o vincerà la sua scommessa?
Sette mesi di una campagna dall’andamento politicamente ed emotivamente altalenante. Iniziata con la bomba renziana (“Se perdo, lascio la politica”), proseguita con la presa di posizione dell’Anpi a favore del No e con i conseguenti attacchi del ministro Maria Elena Boschi (“I veri partigiani voteranno Sì”), continuata con il voto amministrativo di giugno (un pre-referendum sul presidente del Consiglio), questa campagna ha mutato d’umore quando Renzi si è reso conto dell’errore che aveva fatto personalizzandola così tanto.
Improvvisamente i toni sono diventati più soft (almeno nella forma), mentre nella sostanza, nulla è cambiato: i due schieramenti hanno continuato ventre a terra a fare propaganda per il Sì o per il No. Matteo Renzi si è preso la tv pubblica per spiegare al Paese la bontà della sua riforma. Gli altri, gli oppositori, si sono adeguati e hanno usato i mezzi a loro disposizione. Qualcuno possiede una corazzata mediatica (Forza Italia e la Lega). Qualcuno, chi sta a sinistra, si è dovuto arrangiare.
Molti hanno speso del tempo per spiegare nel merito le ragioni della loro posizione (come ha fatto Carlo Smuraglia nel confronto alla Festa dell’Unità di Bologna). Per lo più, però, il tema è stato il destino di Matteo Renzi.
Nelle ultime venti settimane, la principale attività del presidente del Consiglio è stata quella di convincere gli italiani a votare Sì. Di conseguenza, anche il lavoro del governo ne ha risentito. Non si ricordano grandi provvedimenti varati dall’esecutivo negli ultimi mesi. Anche il parlamento, complice il periodo estivo, si è sostanzialmente fermato dopo l’approvazione delle unioni civili.
In un primo tempo, il referendum avrebbe dovuto tenersi in ottobre. Poi è slittato a novembre. Infine, Matteo Renzi ha scelto la data ultima possibile: il 4 dicembre. Significa che ha bisogno di tempo per mobilitare il suo elettorato. Per adesso, infatti, nei sondaggi sembra prevalere il No.
La posta in gioco è molta alta, la riforma della Costituzione, ma sette mesi e più di campagna referendaria non sono pochi per un Paese come l’Italia che naviga in cattive acque. Sembrano non esistere altre priorità, mentre le priorità (la situazione economica) ci sarebbero e dovrebbero essere affrontate. La sensazione di stanchezza tra gli elettori è sempre più diffusa per un campagna troppo lunga, troppo chiassosa e troppo incentrata sul destino di una persona.