La domanda che tutti si fanno – e che al momento non ha risposta – è che cosa succederà domenica prossima, quando il governo catalano ha convocato il referendum per l’indipendenza dal resto della Spagna. Le notizie che arrivano da Madrid e Barcellona continuano a raccontare la mancanza di dialogo tra le parti.
Ognuno va avanti per la sua strada. La giustizia spagnola, per esempio, ha accettato di indagare per sedizione i manifestanti che la scorsa settimana protestarono contro gli arresti di alcuni alti dirigenti catalani da parte della Guardia Civile.
Vale lo stesso per la politica. L’ex governatore catalano, Artur Mas, ha parlato di un vero e proprio stato di polizia e ha ricordato la pericolosità dei video postati in rete nelle ultime 24 ore, tra questi quelli con centinaia di manifestanti, in Andalusia, avvolti in bandiere spagnole, mentre salutano i poliziotti in partenza per Barcellona, come se dovessero partire per un Paese straniero in guerra.
Il governo spagnolo ha chiesto unità ai partiti politici di fronte all’affronto catalano. La vice di Rajoy, Soraya Sáenz de Santamaria, è intervenuta nel Congresso – il parlamento di Madrid – per dire che la partita è tra la difesa dello stato di diritto e coloro che vogliono rompere lo stato e cancellare la democrazia.
Gli appelli al dialogo in realtà non mancano. L’ultimo, importante, è arrivato dai vescovi spagnoli, che si sono anche offerti come supporto a questo ipotetico dialogo.
Giovedì ci sarà una riunione della polizia catalana, alla quale parteciperà anche il ministero degli interni spagnolo. Potrebbe essere la definitiva rottura per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico, ma potrebbe anche essere l’occasione per concordare che non ci debbano essere imprevisti e violenze.
La chiave, da questo punto di vista, sarà il comportamento della polizia catalana, los Mossos d’Esquadra, che sulla carta dipende dal governo autonomo di Barcellona, ma che nella pratica è stata messa sotto un comando unificato che dipende dal ministero degli interni di Madrid.
Oggi c’è stata una nuova riunione. Il comandante della polizia catalana, il signor Trapero – lo sentiremo nominare nei prossimi giorni – ha detto che i suoi uomini rispetteranno gli ordini ma con la dovuta proporzionalità, perché alcune direttive sono un rischio per l’ordine pubblico.
E torniamo al punto di partenza, cosa potrebbe succedere?
Al momento l’ordine è quello di impedire che ci siano votazioni in centri chiusi e nell’arco di cento metri da seggi elettorali scelti dagli organizzatori del referendum. Possibile, quindi, che ci sia un grosso atto simbolico, un voto di massa per le strade di Barcellona e di tutta la Catalogna. Con che valore e con che conseguenze politiche, nessuno lo sa.