Matteo Renzi come David Cameron, scriveva l’altro giorno l’Observer. L’ex inquilino di Downing Street ha dovuto lasciare la poltrona dopo la sconfitta subita nel referendum sulla Brexit che, invece, nei suoi piani, avrebbe dovuto essere un plebiscito nei suoi confronti.
Per il giornale britannico, anche il presidente del consiglio italiano rischia di fare la stessa fine con la consultazione sulle riforme istituzionali. Quell’appuntamento può risultare una scommessa sbagliata, un vero e proprio boomerang per il capo del governo.
Gli errori di Renzi
In questo inizio di agosto, ci sono tutte le premesse per quel finale di partita, anche grazie ai continui errori di Matteo Renzi. Il primo, il più grave, lo ha fatto “personalizzando” la consultazione: o passa il Sì, o me ne vado, lascio la politica. Parole poi ripetute da Maria Elena Boschi.
Quando le hanno pronunciate, i due forse non si erano resi conto di essere in una fase calante della loro popolarità. Il Re Mida Renzi aveva già lasciato il passo a un Renzi poco convincente anche agli occhi di molti suoi estimatori della prima ora. Il ministro delle riforme, poi, non si era accorta di quanto lo scandalo della Banca Etruria avesse danneggiato la sua immagine.
I risultati delle elezioni amministrative hanno fatto comprendere ai due quale era la reale situazione. Dopo quella sconfitta, la strategia di comunicazione è lievemente cambiata. Il capo del governo si è un po’ defilato, continuando, sì, a ripetere che in gioco c’era soprattutto il suo destino politico personale, ma dicendolo con una minore enfasi rispetto alle settimane precedenti.
Maria Elena Boschi si è invece data a un lavoro certosino di partecipazione a incontri pubblici (durante i quali ha subìto anche qualche contestazione) e di tessitura di rapporti con varie associazioni e sindacati per portarli dalla parte del Sì, (come è avvenuto con Confindustria e la Cisl).
I sondaggi dicono No
I sondaggi però dicono che il No sarebbe in vantaggio. Nonostante gli sforzi di Renzi, il fronte del Sì appare ancora poco mobilitato e comunque abbastanza freddino in generale sulla questione, mentre quello dei contrari alla riforma è ampio e ben motivato (il risultato negativo manderebbe a casa il capo del governo).
In questo quadro, Matteo Renzi ha commesso un altro errore; ha fatto una mossa maldestra, che rischia di trasformarsi in un autogol. Ha tolto Bianca Berlinguer dalla direzione del Tg3, sostituendola con un uomo di sua totale fiducia.
L’operazione è stata talmente smaccata che non c’è bisogno di qualche retroscena per spiegarla. Un direttore vicino alle posizioni delle minoranza Pd e ammicante al No doveva lasciare il posto a un fedele custode dell’ortodossia renziana del Sì al referendum.
Solo che così facendo, il Renzi Rottamatore per il Rinnovamento ha perso una forte dose di credibilità; ha agito con la Rai come avevano fatto tutti i suoi predecessore a Palazzo Chigi, a parte qualche rarissima eccezione: considerandola un feudo e uno strumento di propaganda governativa.
Però qui c’è un fattore in più. Il cognome Berlinguer suscita ancora molta emozione nei vecchi militanti di una parte del Pd. Il senso di distacco tra Matteo Renzi e quel segmento della base del partito può aumentare ancora di più. Addirittura può essere un elemento di mobilitazione per il No al referendum.
Gli scricchiolii del fronte renziano
Che la barca renziana in questo momento scricchioli non lo si vede solo dai sondaggi, ma anche da altre cose. Dario Franceschini, fino a ieri alleato di ferro del presidente del Consiglio, ora appare molto più tiepido. E’ un segnale importante. Significa che una sconfitta al referendum è considerata un’ipotesi più che credibile. I segnali non arrivano solo da lì. Anche i “Giovani Turchi”, la corrente del presidente del Pd Matteo Orfini, hanno segnato le distanze in qualche occasione dal presidente del Consiglio.
Insomma, il panorama non è roseo per Matteo Renzi. Per questo prende tempo e con tutta probabilità fisserà la data della consultazione nella seconda metà del prossimo novembre.
Da qui ad allora spera che la mobiltazione dei comitatì e il martellamento che potrà fare attraverso i Tg Rai possa servire a garantirgli i voti necessari per la vittoria del Sì.
Ma basteranno questi due fattori per superare indenne l’ostacolo che lui stesso si è messo davanti?
Il referendum ormai è un voto pro o contro Renzi, come lui stesso ha voluto. Chi andrà a votare in novembre difficilmente lo farà sul merito della riforma. I numeri parlano chiaro. La somma dei suoi oppositori e superiore a quella dei suoi possibili sostenitori.
Matteo Renzi come Massimo D’Alema nel 2000?
Il grande errore da parte di Matteo Renzi è stato quello di personalizzarlo. Un errore che – ironia della sorte – venne fatto da Massimo D’Alema con le elezioni regionali del 2000. Ricordate? D’Alema era al governo da un paio di anni dopo la caduta di Romano Prodi e sentiva di dover ricevere una legittimazione elettorale. Per questo disse: se perdo queste elezioni, mi dimetto. E così fu.
Anche Matteo Renzi non è passato attraverso un’elezione prima di diventare presidente del Consiglio. E’ vero: ha vinto le europee, ma sembra ormai un secolo fa. La legittimazione elettorale che sta cercando con questo referendum potrebbe trasformarsi in una sconfitta e in una disfatta politica.
Matteo Renzi come David Cameron, o peggio come Massimo D’Alema? Vedremo. In questo momento il referendum sulla riforma costituzionale appare un boomerang come lo è stato quello sulla Brexit.