
Dai 210 miliardi di Conte ai 220 di Draghi, tra Recovery e fondi complementari, i capitoli rimangono più o meno bilanciati, ma più che la mano di Dragi si vede quella del centrodestra.
Le politiche per l’inclusione sociale perdono 5 miliardi, lo avevamo anticipato, dimezzate quelle per il lavoro e scompare il sostegno diretto alle assunzioni di giovani e donne. Solo formazione. La coesione territoriale è dispersa e complessivamente ridotta. La salute rimane la missione cenerentola col 9% del totale. Speranza ha almeno mantenuto i suoi 7 miliardi per la medicina di territorio.
Crescono, di molto, i fondi nel Recovery Plan per i settori privati private: tre miliardi in più dal capitolo digitalizzazione, ma più che effetto Colao, si vede quello Garavaglia con quasi due miliardi di sostegno alle imprese e nulla per turismo culturale e scolastico.
La cultura perde due miliardi. La transizione verde vale sempre un terzo del piano, e la maggiore correzione per 7 miliardi sembra in favore delle imprese energetiche con il raddoppio della filiera dell’idrogeno che tanto interessa al più grande gruppo petrolifero del paese, e cinque nuovi miliardi per la digitalizzazione delle reti.
Si rifinanziano per 11 miliardi ecobonus e sismabonus. E si taglia nelle filiere di energie rinnovabili con due miliardi in meno. Nell’efficientamento energetico degli edifici pubblici, dove c’è il grande capitolo scuole italiane, con Conte c’erano 11 miliardi con Draghi 6.
Le ferrovie sono solo alta velocità 25 miliardi: tra sostegno alla reti esistenti e nuove linee. 2 miliardi per il trasporto regionale. Le città da rigenerare e il dramma della casa ricevono insieme 8 miliardi e mezzo. Un terzo di quanto previsto per la sola voce industria 4.0 per Confindustria.
Morale: una maxifinanziaria, con tante belle parole e un ribilanciamento verso gli interessi elettorali del centrodestra che farà molta fatica a convincere l’Europa che c’è una piano per la transizione italiana.