di Luca Parena
“All’alba della Liberazione
decedeva nel campo di sterminio tedesco
il partigiano
CARLO CIOCCA
chiudendo un’intera esistenza
consacrata alla giustizia ed alla
libertà d’Italia”Ebensee, 30 aprile 1945
L’epigrafe è ancora leggibile, ma qualche parola ha cominciato a sbiadire. In tutto sono centosettantaquattro caratteri. Per rimetterla a nuovo occorrono un po’ di ore e tanta precisione: bisturi per rimuovere i residui di vernice, pennellino per ripassare ogni singolo carattere.
Una volta montato il trabattello, Ilaria e Cecilia si mettono al lavoro.
La cura delle epigrafi dedicate ai partigiani, il recupero delle lapidi e dei monumenti per le vittime del fascismo sono la forma di militanza che Ilaria e Cecilia hanno scelto. Così da qualche anno è nato Ram, il loro progetto di restauro dei simboli della Resistenza: “Ram sta per Restauro Arte Memoria. In realtà ha cominciato a prendere vita già nel 2005, da un’idea di Ruggero Ferranti e Maria Teresa Farina che con i Comunisti Italiani avevano fatto pulire a me e ad altri ragazzi delle lapidi del Municipio 1. Dopo il progetto è finito in un cassetto, ma a me è sempre rimasto nel cuore – racconta Ilaria – Nel 2017 incontrai Cecilia, ci conoscevamo già dai tempi delle elementari. Cominciammo a parlare, le raccontai di questo progetto che volevo riprendere anche se erano passati anni. In lei ho trovato la compagna ideale: ci siamo chieste se ci bastasse militare frequentando le sezioni Anpi. Ci siamo dette “c’è anche altro”. Così abbiamo messo a disposizione della comunità le nostre competenze. Per noi è anche questo antifascismo”.
La lapide del partigiano Carlo Ciocca si trova in via Palmieri, quartiere Stadera, Milano Sud. Zona di fabbriche e di scioperi durante il regime. A pochi metri da qui ha anche una sede il partito neofascista Forza Nuova. Nel 2019 c’è già stato bisogno dell’intervento di Cecilia e Ilaria per ripulire la lapide di Ciocca dopo un atto vandalico. Michela Fiore è presidente della sezione Anpi Stadera-Gratosoglio: “Credo che questo quartiere abbia la maggior concentrazione di lapidi di caduti partigiani e deportati. Tutte le persone a cui sono dedicate le lapidi qui sono state oggetto di delazione da parte del portinaio di via Palmieri 22, un affiliato della milizia che stava lì dove adesso c’è la scuola. Li hanno portati via tutti e sono tutti morti a Ebensee, un campo collegato a Mauthausen” spiega Michela Fiore. “Due anni fa, proprio la notte prima del 25 aprile, hanno incendiato la corona e ovviamente anche la lapide di Carlo Ciocca è stata fortemente rovinata. È stato proprio un gesto di spregio alla Festa della Liberazione.
Siamo entrati in contatto con Ilaria e Cecilia, ci hanno detto: “Noi veniamo e ve la restauriamo gratuitamente. Pagateci solo il materiale, noi ve la restauriamo”. Chi vive in questo quartiere ha ben presente il valore delle testimonianze lasciate dai partigiani, soprattutto quando diventa evidente che quelle testimonianze diano fastidio. Chiara e sua figlia Sofia abitano allo stesso numero civico dove ha vissuto Carlo Ciocca. Più volte si sono sentite in dovere di fare qualcosa per difendere il suo ricordo. Piccoli gesti che dimostrano come la memoria sia materia viva, capace di rinnovarsi sempre: “Una prima volta avevano tirato giù la corona – ricorda Chiara – è stata giù un po’ di tempo finché Sofia mi ha chiesto perché non la sistemassero. Le ho risposto che se voleva potevamo fare qualcosa: abbiamo passato la serata a fare una piccola coroncina, non ti dico la fatica per metterla lassù. Poi un paio d’anni fa, è stata proprio bruciata la lapide. Siamo tornate a casa proprio quando era appena successo. Siamo corse su in casa e abbiamo fatto un bel cartellone con scritto: “Tranquillo Carlo, ci pensiamo noi”. È stato un modo per dirgli: “Tu hai fatto quello che potevi quando eri in vita, adesso ci siamo noi a portare avanti la memoria della Resistenza e del 25 aprile contro chi compie gesti del genere”.
Quando lavorano in quartieri come Stadera, Cecilia e Iaia devono in qualche modo lottare per non essere interrotte troppo spesso. Amiche e amici dell’Anpi, dei centri sociali o di gruppi solidali con il loro progetto sembrano quasi darsi il cambio per non lasciarle mai sole. C’è chi passa per un saluto, chi scatta foto e anche chi risparmia loro la preoccupazione del pranzo. Questa volta un contributo sostanzioso lo ha dato Margarita. Lavora con le cooperative sociali della zona ed è iscritta all’Anpi. Dice di non ritrovarsi nei partiti politici di oggi, gli ideali della Resistenza e del 25 aprile sono gli unici nei quali veda la possibilità di superare le epoche e i confini: “Vengo da un Paese, l’Argentina, in cui ho vissuto in prima persona la dittatura militare. Per questo mi sono identificata in tutto e per tutto con Anpi. Per me il 25 aprile significa la Liberazione, non solo dell’Italia dai tedeschi come accaduto a suo tempo, ma dei diversi posti nel mondo. Per questo in Anpi ci sono anche persone di altre culture. La cosa più importante è questa: la libertà dei popoli”.
Il sostegno della comunità ha spinto Cecilia e Iaia ad aprire fino al 1° maggio una raccolta fondi dal basso, “Ram città aperta”, per dare un aiuto concreto al loro progetto. Il sogno, con il tempo, è di fare laboratori per le scuole, mappare le lapidi di tutta Milano, creare dei percorsi per chi voglia conoscere le storie e i luoghi della Resistenza degli anni Quaranta e Settanta. Una spinta che viene dai loro desideri, ma anche dagli incontri che hanno fatto in questi anni. Incontri che hanno reso evidente la dimensione pubblica del loro impegno. “Moltissime volte giovani e meno giovani si sono fermati mentre lavoravamo, spesso si accorgono una lapide c’è perché noi siamo lì di fronte e ce ne stiamo prendendo cura. È accaduto anche che chi si è fermato conoscesse un parente o addirittura lo stesso partigiano. È sempre più raro purtroppo, ma queste testimonianze reali sono sempre emozionanti” dice Ilaria. “Per noi era un’esigenza personale che le lapidi tornassero visibili. E poi invece ci siamo accorte di come questo sia un lavoro collettivo – aggiunge Cecilia – Lo spazio pubblico è il luogo dove la comunità si ritrova: oltre alla nostra relazione personale e di cura con la lapide, siamo diventate il mezzo attraverso cui la comunità comunica con i simboli della Resistenza sui muri”.
Il 25 aprile di quest’anno non è confinato sui balconi come quello di un anno fa, ma nemmeno aperto al tradizionale corteo nazionale. Le lapidi dei partigiani sono ancora punto di riferimento fondamentale, almeno per l’omaggio di un fiore o di una corona. Le piazze con migliaia e migliaia di persone, dopo due anni, mancano a molti. Ma per chi il 25 aprile lo vive ogni giorno, come Iaia e Cecilia, queste limitazioni forzate possono servire a prendere la rincorsa, a riscoprire il valore profondo della Liberazione. “Dal 2020 a oggi ho visto un sentire più vivo. Anni fa, ho notato che stava diventando una ricorrenza un po’ come tutte. Ora vedo interesse e appartenenza: mi fa molto piacere, secondo me è il segno che la pandemia ha riportato l’attenzione su ciò che è importante” conclude Iaia. Per Cecilia “Come si vive il 25 aprile dipende da ciascuno. Io credo che da militante e antifascista lo vuoi festeggiare anche se non puoi andare in piazza. Se non si torna nelle piazze quest’anno, l’anno prossimo il desiderio sarà ancora più forte e appassionato. A volte bisogna anche farsi mancare delle cose per apprezzarle di più no?”.
Foto |RAM – Città Aperta – il Restauro della Resistenza a Milano