La Protezione Civile lunedì 20 aprile ha diffuso un dato, fra quelli che distribuisce sull’epidemia di coronavirus, che fino a quel momento non aveva mai rivelato: il numero di persone testate con i tamponi. Era un’informazione che fino a quel momento non si sapeva anche se era certo che il numero delle persone fosse inferiore a quello dei tamponi.
Un paziente trovato positivo al COVID-19 per essere dichiarato negativo deve fare due tamponi nell’arco di 24 ore. Quindi è chiaro che, almeno tutti i guariti, hanno fatto 3 tamponi (il primo per rilevare la positività e gli altri due per constatare la negatività). I dati di martedì 21 aprile indicano che i 1.450.150 tamponi sono stati fatti a 971.246 persone. Considerando che i guariti sono 51.600 e quindi hanno ricevuto il doppio tampone negativo ballano 272.504 tamponi che potrebbero essere quelli negativi al primo colpo o le conferme di positivi già malati. Ma purtroppo questo non si sa.
E sui numeri del coronavirus che vengono comunicati quotidianamente ci sono molte cose che non sono chiare. Da quando è iniziata l’epidemia di coronavirus sto raccogliendo i dati della Protezione Civile. Lì pubblico sul mio profilo Twitter. Lo faccio per cercare di capire meglio come sia la situazione. Non per sfiducia per quello che viene detto ma perché, se i dati ci sono, tanto vale leggerli e cercare di capirli. Al netto che non sono un epidemiologo e quindi non traggo conclusioni né faccio previsioni. Guardo i numeri del coronavirus, li metto in fila e cerco di vedere come va. Tutto qui.
Fin da subito mi sono accorto che c’era qualcosa, anzi molto, che non andava. Periodicamente mi arriva anche qualche messaggio di quelli che io amabilmente chiamo gli “scopritori dell’acqua calda” che mi rivelano che i numeri del coronavirus sono tutti sballati. Li ringrazio sempre di avere puntualizzato l’ovvio come dice il mio amico Davide Facchini.
Il dato di fatto è che purtroppo è così. I numeri del coronavirus sono sballati. Lo so e me ne sono reso conto fin dai primi giorni. Ci sono molte, troppe, incongruenze che, man mano che passava il tempo, sono saltate all’occhio. E così ho pensato di mettere in fila tutte queste incongruenze per riassumere cosa non quadri nelle quotidiane comunicazioni della Protezione Civile.
Il primo problema che abbiamo è sul numero dei positivi. Ovviamente non risponde minimamente a quello reale. Lo si è capito fin dai primi giorni. Dalle informazioni che si conoscevano sul coronavirus si sapeva che aveva un tasso di letalità del 1-2% sui positivi. Questo vuol dire che ogni 100 casi circa l’1,5% non ce la faceva. Ma già dal 25 febbraio noi in Italia eravamo al 3,0% di letalità. In quel giorno avevamo 10 decessi registrati su 333 positivi. Ben di più del tasso di letalità previsto per COVID-19. Dopo poco più di 10 giorni eravamo al triplo.
Il 10 marzo 631 decessi su 10.149 casi (6,2%). Lì non non ci sono stati più dubbio ma, a quel punto, avevamo la certezza che il numero dei casi fosse molto più alto. Oggi siamo arrivati a ipotizzare che quelli conteggiati siano solo un decimo di quelli reali.
Qualche giorno fa una ricerca della società In-Twig ha stimato che al 3 di aprile a fronte di un numero di 47.520 contagiati ufficiali della regione Lombardia quelli reali fossero 972.200. Quindi il dato ufficiale dei positivi sarebbe meno dl 5% del valore reale.
Ma non è solo questo il punto. C’è anche il problema che nel conteggio dei positivi ogni regione agisce e opera secondo i propri criteri. Il Trentino, che come provincia autonoma è parificata a una regione, ad esempio, quotidianamente comunica i casi positivi distinguendoli fra quelli verificati con il tampone e quelli senza (che a quanto pare sarebbero i conviventi con coloro che sono trovati positivi e che si dà per assodato che siano contagiati). Venerdì 17 aprile ad esempio i positivi del Trentino erano 87, di cui però solo 67 verificati con tampone. Quindi 20 non erano stati controllati con il tampone. E già questa è una differenza macroscopica sulle modalità di comportamento e di calcolo.
Insomma quello che è certo è che il numero dei positivi non è reale né attendibile. Punto. Poi arriviamo ai tamponi. Che sono l’altro grande punto di domanda di questi dati. Quotidianamente ci viene fornito un numero di tamponi suddiviso per regione. Il 21 aprile sono stati 52.126, il giorno prima 41.483, una settimana prima 26.779. Insomma valori altalenanti. Si triplicano in pochi giorni i tamponi eseguiti poi dopo due giorni si diminuisce il numero e questo non permette di capire la reale incidenza del virus.
È ovvio che più tamponi vengono fatti maggiore sarà il numero dei positivi ma il problema vero è che sappiamo molto, anzi troppo poco, di questi tamponi. Quando sono stati fatti? Sono tutti del giorno precedente? C’è una relazione fra i tamponi e i casi positivi comunicati? E quanti di questi tamponi sono quelli di controllo per stabilire se dopo il decorso della malattia la persona è guarita? Come ho scritto per essere considerati guariti bisogna fare due tamponi a distanza di 24 ore. Anche questo è un dato, importante, che non si conosce. Inoltre, se a un paziente positivo viene fatto un tampone di controllo e risulta ancora positivo come viene conteggiato? Ci auguriamo che non finisca ancora nei positivi del giorno se no avremmo un raddoppio di questi casi che, per quanto pochi, sicuramente ci sono.
Un altro dato che sarebbe molto importante è la suddivisione dei tamponi per provincia. Se vengono diffusi i positivi registrati per provincia perché non anche i tamponi? E infine, a chi sono fatti i tamponi? In Lombardia per molto tempo venivano fatti prevalentemente ai pazienti che venivano ricoverati in ospedale e solo in minima parte in altri contesti.
Nelle RSA ad esempio non venivano fatti tamponi con i danni che tutti sappiamo in termini di vite perse. Poi improvvisamente si è iniziato a farli in alcune RSA (in quali? In quali province? Non si sa…) con il risultato che il numero dei positivi è salito considerevolmente. Martedì 21 aprile Milano ha avuto un picco di casi positivi; da quello che si è saputo è perché si è intervenuto sulle RSA ma anche su questo non c’è certezza.
Il Piemonte negli ultimi giorni ha avuto un consistente aumento dei positivi e si è saputo, lo ha scritto la Regione, che il 64% dei casi di COVID-19 era stato registrato nelle RSA dove si era iniziato a fare esami. Il Veneto è la regione che ha fatto più tamponi. Zaia lo ha annunciato e lo ha fatto. Per dire:
Lombardia: 10.060.000 abitanti – 290.699 tamponi
Veneto: 4.900.000 abitanti – 277.543 tamponi.
In pratica il doppio della Lombardia. Ma attenzione. Piemonte 4.356.000 abitanti (quasi come il Veneto) 111.513 tamponi, poco più di un terzo del Veneto.
Insomma non c’è un criterio univoco e coerente. D’altro canto la sanità è delegata alle Regioni e ogni Regione agisce come meglio crede. Peccato che poi, malgrado i criteri diversi, tutto finisca nel calcolo nazionale.
Passiamo adesso al numero dei guariti. Quotidianamente Borrelli fornisce l’informazione del numero dei guariti. Tutti ci concentriamo sulla voce guariti e pensiamo che siano persone uscite dalla malattia. Ma la voce della tabella della Protezione Civile indica “dimessi e guariti” e non è mai stato chiarito che cosa voglia dire quel “dimessi”. Perché se non sono guariti ma solo dimessi dagli ospedali dovrebbero finire nella voce dei pazienti in isolamento domiciliare (non è pensabile che persone non guarite escano dagli ospedali e non vadano in isolamento…) e se sono guariti non si capisce perché vengano distinti dagli altri guariti. Altro dubbio quindi.
Infine la triste voce dei deceduti. Al 22 aprile in Italia erano ufficialmente 25.085 ma si sa che sono molti di più. Il sindaco di Bergamo Gori ha detto che i deceduti nel suo Comune dal 1° marzo al 12 aprile sono stati 795 mentre normalmente nello stesso periodo negli anni precedenti sono stati 169. Quindi ben 626 decessi in più della media. Possiamo ipotizzare che quei 626 decessi siano stati causati dal Coronavirus. Ma i dati ufficiali dicono che per Coronavirus a Bergamo dal 1° marzo al 12 aprile sono morte solo 272 persone. Una differenza di ben 354 persone che non risultano nei conteggi ufficiali probabilmente perché sono decedute a casa o in situazioni tali che non ne hanno permesso la rilevazione della positività al virus.
Situazione simile a Milano: dal 1° al 9 aprile il numero medio dei decessi era di 350 persone e nel 2020 si sono registrati 825 morti. Insomma anche la cifra dei decessi non rispecchia il dato reale.
A questo punto la domanda sorgerebbe spontanea: ha senso aspettare, guardare e commentare questi dati ogni giorno? Secondo me sì e per due ordini di motivi.
Prima di tutto perché questi sono gli unici dati ufficiali di cui disponiamo, sono quelli comunicati dalla Protezione Civile e dall’Istituto Superiore di Sanità e, fino a prova contraria, sono quelli sui quali fino ad oggi sono state fatte le valutazioni, sono state prese e verranno prese le decisioni operative per combattere il virus e sulla nostra possibilità di spostarci e muoverci.
E poi perché, per quanto imprecisi, incompleti e non rispondenti alla realtà, questi dati fino ad oggi ci hanno fornito comunque una fotografia della situazione tutto sommato realistica. I primi due focolai a Codogno e Vò in provincia di Padova, la drammatica situazione della seconda metà di marzo nelle province di Bergamo e Brescia, il fatto che la regione Lombardia sia quella più colpita, l’aumento degli ultimi giorni della regione Piemonte, i buoni risultati in Veneto. Tutto questo lo abbiamo constatato e lo troviamo in questi dati.
Quindi per quanto siano criticabili, e lo abbiamo fatto, resto convinto che valga comunque la pena seguirli e analizzarli.