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- Tratto dal podcast Coronavirus |
“Quello che serve“, il documentario di Chiara D’Ambros e Massimo Cirri con le musiche di Stefano Bollani, è disponibile gratuitamente su RaiPlay si tratta di un viaggio nel Sistema sanitario nazionale che si interroga su questa straordinaria macchina che fornisce cure, assistenza, accertamenti, medicine a tutti e senza chiedere denaro. Da dove arriva questa visione del mondo? La salute è un diritto?
Ne abbiamo parlato con Massimo Cirri a Cult. L’intervista di Barbara Sorrentini.
Come è nato il progetto e come si è trasformato in corso d’opera?
Il progetto è nato qualche anno fa quando, qualche anno più indietro, mi sono ammalato di una di quelle malattie che ti fanno interrogare sulla vita e la morte. Poi ho fatto l’errore di raccontare a Chiara D’Ambros, una bravissima videomaker che lavora per report, un’amica e una donna spietata, questa cosa che mi era sembrata stranissima: ti curano, anche con delle cure molto costose, e io non avevo pagato una lira. Perché? Perché c’è questa macchina straordinaria che è il sistema sanitario nazionale. Mi era sembrano un bellissimo meccanismo e io avrei voluto lasciar perdere lì, perchè non mi piaceva ripensare a quando ero malato, ma Chiara D’Ambros mi hai convinto a raccontarla e siamo andati un po’ in giro per l’Italia per cercare di capire quali sono le radici profonde e che sistema di valori c’è dietro una macchina così. Abbiamo raccontato come funziona questa macchina, come è nata e si è sviluppata. Abbiamo iniziato a raccontare un po’ di materiale su questo dicendo “che cosa importante è il servizio sanitario nazionale e la sua forza è il capitale umano”, chi ci lavora dentro con stipendi abbastanza bassi. Poi è successo che è arrivata la pandemia, eravamo tutti sui balconi a parlare dei sacrifici e delle morti degli operatori sanitari e con Chiara D’Ambros abbiamo cambiato e rimontato un po’ il progetto, tenendo alcune cose e raccontando questi valori profondi che adesso sono sotto gli occhi di tutti.
Tu ti metti abbastanza a nudo e ripercorri la tua storia anche andando a parlare con le dottoresse che hai incontrato. Cosa ti ha lasciato questo tipo di esperienza?
Sì, sono andato a salutare e portare la mia gratitudine alle oncologhe che mi avevano curato. Mi sono rimesso in gioco. L’idea era di prendere una cosa personale e cercare di farne qualcosa di collettivo. Adesso siamo tutti sui balconi ad applaudire i medici e gli infermieri, l’oncologa che mi ha curato – l’ho chiamata pochi giorni fa per dirle dell’uscita del documentario – mi ha detto di aver dei problemi a trovare una babysitter perché sia lei che suo marito, anche lui medico, dovevano tornare a lavorare. Diceva che nessun vuole andare perché è più facile infettarsi. A passare da eroe a untore ci metti davvero un attimo.
Ti sei fatto un’idea di cosa succederà al Servizio Sanitario Nazionale?
Bisogna un po’ farsene carico e iniziare un po’ a riflettere come collettività, come comunità, come singoli cittadini e come gente che va a votare, sui valori che sono dentro al servizio sanitario nazionale, aggredito insieme a tutto il lavoro pubblico da una campagna di stampa. Ricordate il Ministro Brunetta che ha sempre detto che il lavoro pubblico è un furto? Un pezzo del lavoro pubblico è quello che ti viene a prendere e ti intuba, e tu non paghi nulla. Detto in un altro modo, io credo che soltanto i rom abbiano un ufficio stampa peggiore di quello del servizio sanitario nazionale perché l’episodio di malasanità o il pezzo di garza lasciata nell’intestino durante un’operazione di appendicite si mangiano comunicativamente tutte le altre diecimila operazioni di appendicite in cui nessuno ti ha lasciato nulla dentro. Quando lo scorso anno ci sono state le elezioni politiche sono venuti da noi gli osservatori dell’OSCE a controllare le elezioni e hanno fatto una relazione che dice che le elezioni in Italia “si sono svolte in un regime di sostanziale rispetto per le regole” e dice che la campagna elettorale che ha portato alle politiche è stata “dominata dal tema dell’immigrazione“. I cittadini italiani, dice l’OSCE, sono stati privati del diritto di dibattere, e poi di andare a votare dopo aver ben dibattuto, dei temi più rilevanti e fondamentali come la scuola o la sanità pubblica.
E su questo siamo chiamati a rispondere e a riflettere.