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Quegli insulti da sinistra, sessisti e classisti

Giorgia Meloni ANSA

Di Giorgia Meloni, sinceramente, non vorremmo parlare, se non per ricordare che nel suo ambiente politico la volgarità, il maschilismo e l’attacco personale sono sdoganati da sempre.
Questo però non ci autorizza a dire che si sia meritata certi epiteti, o che se li sia andata a cercare, perché noi non siamo come loro, giusto? Noi, noi di sinistra, siamo diversi.

O forse no. Alzi la mano chi di voi lettrici che non si è mai trovata a disagio, per non dire di peggio, in un contesto da cui si sarebbe aspettata più rispetto. In un ambiente acculturato, magari anche attento al linguaggio che si usa. Di sinistra, appunto.

È inutile che ce la raccontiamo, care compagne o amiche o quello che volete, il maschilismo a sinistra è altrettanto diffuso, è solo nascosto dall’ipocrisia. Non lo scopriamo certo oggi, qualcuna ricorderà il libro Compagno Padrone, era del 1974.

E non parliamo tanto delle battute livello Jerry Calà, che avrebbero anche stufato ma paiono andare sempre forte tra i maschi. Parliamo di naturale, spontaneo istinto di prevaricazione, inconsapevole proprio perché a sinistra l’autocontrollo in questo campo deve prevalere, ma è una pia illusione.
Ha perso il controllo, palesemente, il professor Gozzini ai microfoni di Controradio (che, va ricordato, si è ufficialmente scusata per l’accaduto) e non gli sono venuti fuori solo insulti sessisti, ma anche classisti. Il raffinato intellettuale che usa la parola pesciaiolo come insulto. La pesciaiola, come osa rivolgersi da pari a pari al professor Mario Draghi?

Giorgia Meloni è Giorgia Meloni, ma qui siamo talmente oltre che la politica resta davvero solo in secondo piano.

  • Autore articolo
    Lorenza Ghidini
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