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Il “progetto carcere” dell’Università degli Studi di Milano

progetto carcere san vittore ANSA

Università degli Studi di Milano, sede di via Festa del Perdono. Intorno ai chiostri della Cà Granda è uno dei pomeriggi più caldi di questa estate e il professor Stefano Simonetta comincia a raccontare la nascita del “progetto carcere” all’università Statale.

Simonetta è il referente di ateneo del progetto. L’ultima conferenza nazionale dei poli universitari penitenziari ha messo nero su bianco un dato: uno studente ristretto su dieci, in Italia, è iscritto alla Statale di Milano. In tutto il Paese, nessun altro ateneo contribuisce tanto all’effettivo esercizio del diritto allo studio per i detenuti.

Il “progetto carcere”, a partire dal 2015, ha attivato collaborazioni con le case di reclusione di Bollate, di Opera, di Vigevano e le case circondariali di Monza e Pavia. È aperto a tutti i corsi di studio dell’ateneo. Da economia a lettere, da scienze politiche a relazioni internazionali fino alle discipline di area scientifica.

Filosofia, storia, legge sono comunque tra gli indirizzi più scelti dagli studenti, anche per ragioni pratiche. Studiando queste discipline, chi non ha permessi per seguire in presenza lezioni e laboratori ha più possibilità di riuscire a restare ugualmente al passo con i corsi e con gli esami, senza dover fare sacrifici supplementari.

Fino a sette anni fa, invece, prima dell’inizio del “progetto carcere”, i pochi detenuti che sceglievano di studiare erano sempre costretti a destreggiarsi tra mille inconvenienti. Il professor Simonetta ricorda così com’è nato il progetto e la persona che più di altre lo ha convinto a dedicarsi a questo lavoro:

I tutor sono studenti e laureati che scelgono di accompagnare i detenuti nel loro percorso di studi. Alla Statale di Milano sono più di cento. In pratica ce n’è quasi uno per ogni studente ristretto. Secondo Simonetta, questa condivisione, questo sforzo di aprire all’esterno il mondo chiuso e spesso impermeabile del carcere è quel che davvero offre una possibilità di reinserimento sociale ai detenuti.

Un percorso che si muove grazie al lavoro di tante persone e alla presenza di spazi. L’Università degli Studi di Milano è l’unico ateneo in Italia ad avere un ufficio dedicato al progetto carcere. Si trova proprio all’ingresso della sede principale. Chiara Dell’Oca è una delle responsabili dell’ufficio:

Per capire come l’incontro e il confronto tra tutor e studenti possano generare benefici basta ascoltare i dialoghi e i racconti che fanno alcuni di loro. Ambrogio è uno studente a cui mancano pochi esami prima della tesi in filosofia. Quando si comincia, non si sa quale tutor ti possa venire assegnato, spiega Ambrogio. Un ragazzo o una ragazza, giovane o meno giovane, laureato o ancora alle prese con i primi esami. Secondo lui però una cosa li accomuna tutti e tutte:

All’inizio però gli studenti possono anche non sapere da che parte cominciare. In questi casi, i tutor offrono un aiuto prezioso a livello molto pratico. Lo racconta Rocco, un altro studente. La sua testimonianza parte proprio dall’esperienza che ha vissuto: “Io non avevo strumenti di nessun tipo per avvicinarmi allo studio. All’inizio ero molto preoccupato di avere un metodo, ma ho avuto la fortuna di avere una tutor molto “smart”. Mi ha detto “non ti preoccupare, tu comincia poi strada facendo troveremo un modo che funzioni per te”. Io ho cominciato a farmi i miei riassunti, le mie sottolineature e piano piano i miei 27-28 agli esami sono riuscito a prenderli”.

Domandare ai tutor che cosa li abbia spinti a impegnarsi nel progetto carcere ottiene una risposta prevalente: la curiosità. Avvicinare il mondo della detenzione significa entrare in contatto con questioni che toccano tasti profondi della vita sociale e individuale. Se da lì parte la scintilla, quello che però tiene viva nel tempo la voglia di continuare è qualcosa di diverso, spiega Elisa, una studentessa che da anni fa da tutor:

Insieme ai libri, al sapere, anche le relazioni personali hanno un’importanza fondamentale. Nel caso di Rocco poi il “progetto carcere” dell’Università Statale ha inciso sulla sua condizione di detenuto anche sul piano materiale. Ha ottenuto la semilibertà per motivi di studio. Un riconoscimento piuttosto raro, anche quando si parla di lavoro. Da qui prende energia in più per guardare con fiducia a quel che promette il futuro:

Se si chiede al professor Simonetta dove il progetto carcere può e deve ancora migliorare, le risposte non mancano. Si concentrano sulla carenza di spazi, sulla lotta quotidiana per scalfire la rigidità dei pregiudizi e delle consuetudini. “L’obiettivo è rendere il carcere un po’ più trasparente” dice il professore. Umanizzare il luogo dell’inaccessibile per definizione, quello dove più spesso si sente dire che le chiavi bisognerebbe buttarle. Lo studio sembra una risposta a queste chiusure, lo strumento capace di aprire le menti e le porte.

di Luca Parena

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