L’emergenza profughi a Como è iniziata venti giorni fa.
Il 10 luglio scorso la stampa locale titolava “Emergenza umanitaria alla stazione San Giovanni”. Un centinaio di eritrei e somali, presto diventati 250/300, respinti dalla Svizzera alla frontiera di Chiasso e ritornati in Italia, a Como. I giardinetti di fronte alla stazione dei treni sono diventati la loro nuova provvisoria casa. Vogliono raggiungere la Germania, qualcuno la Svezia, ma per ora Como è senza uscita.
Sul treno diretto a Chiasso incontriamo tre giovani eritrei. “2, 5” fanno segno con le dita della mano. Hanno 25 anni, parlano tigrino, poche parole d’inglese. “Germany, family” dicono.
I treni dall’Italia arrivano al binario 1 della stazione di Chiasso. In fondo alla banchina ci sono le guardie di frontiera svizzere, le riconosci dalla maglia blu con la scritta sul retro “guardia di confine” in italiano, tedesco e francese. Da un mesetto hanno montato delle reti e ci sono due file per uscire dalla stazione, una per i bianchi, l’altra per i neri. Se sei nero ti portano oltre la rete, negli uffici della dogana per l’identificazione. Se sei eritreo o somalo la frontiera è sostanzialmente chiusa.
Chi non vuole fare domanda d’asilo in Svizzera viene rimandato in Italia e negli ultimi giorni sarebbero aumentati anche i respingimenti di richiedenti asilo in Svizzera, denuncia la deputata svizzera socialista Lisa Bosia Mirra. Qualcuno sottovoce dice di chiedere anche alla Germania il motivo di questa chiusura, perché controlli ci sono sempre stati, ma qualcosa nell’ultimo mese è cambiato. Fosse solo nell’applicazione rigida di accordi in vigore da tempo, come sostengono le guardie di frontiera, fatto sta che ora transitare dalla Svizzera per alcuni tipi di migranti è diventato quasi impossibile.
Ascolta la denuncia della deputata socialista svizzera Lisa Bosia Mirra:
Lisa Bosia Mirra _ profughi Como
La destra svizzera sta alimentando da tempo una campagna anti-immigrazione, a partire dagli odiati frontalieri italiani. Ma con i profughi hanno trovato terreno ancora più fertile per alimentare un discorso pubblico xenofobo e di chiusura dei confini. A giugno l’Udc, partito euroscettico, contro l’immigrazione e uscito vincente dalle ultime elezioni svizzere, parlava di “immigrazione clandestina fuori controllo”. Due mesi dopo la cerniera della frontiera si è chiusa, nonostante i dati sul primo trimestre 2016 indichino un calo del 45 per cento delle domande d’asilo rispetto a un anno fa.
Da Chiasso a Como, ai giardinetti della stazione i volti e le voci dell’accoglienza hanno i nomi di Mattia della chiesa pastafariana, di Stefano dei giovani comunisti, dello studente Marco, che sta passando le sue vacanze qui in stazione con gli eritrei, giocando con i bimbi – sono tantissimi i minorenni e i bambini di pochi mesi o anni – facendogli usare internet. Ci sono i volontari di Como senza frontiere, attivi dall’inizio della crisi. C’è un container della Croce Rossa, ma dopo venti giorni non c’è ancora un vero presidio sanitario.
Parliamo con una dermatologa svizzera dell’associazione Firdaus, è il secondo pomeriggio che passa qui a Como. Sta portando creme per la scabbia, ce l’hanno in tanti, e dà qualche informazione sulle modalità di richiesta d’asilo in Svizzera insieme alla deputata svizzera Lisa Bosia Mirra. L’associazione svizzera Firdaus è anche quella che si occupa del pranzo, portando ogni giorni da Chiasso a Como.
Le istituzioni hanno formato un tavolo di coordinamento tra Comune, Prefettura, Caritas e Croce Rossa, ma quanto fatto è insufficiente. Durante il giorno non si vede nessuno, la sera gli operatori della Croce Rossa sono presenti. La Cri avrebbe a disposizione otto tendoni per l’accoglienza notturna, raccontano i volontari, ma il prefetto ne ha autorizzato solo l’apertura di due. In tutto 35 posti letto. Le altre 200/250 persone continuano a dormire nel parco. “Siamo uomini o profili facebook?” scriveva qualche giorno fa in un editoriale che ha fatto molto discutere in città il quotidiano La Provincia di Como.
Il pomeriggio passa chiacchierando, giocando a calcio, qualcuno si improvvisa parrucchiere. Quando arrivano i sacchi dei volontari con i vestiti puliti è festa grande. Certo, si sfiora quasi la rissa per paura di restare senza, ma alla fine tutto è sotto controllo. Vince la condivisione. Il pomeriggio un gruppetto va a fare il bagno al lago, mischiati ai turisti tedeschi e americani e a qualche anziano comasco che discute della situazione.
Per la cena è stata aperta una mensa anch’essa gestita dai volontari nei locali della parrocchia di Sant’Eusebio. Ogni sera mettono in tavolo tra i 200 e 280 pasti. “Non mi aspettavo tutto questo attivismo solidale dei comaschi”, confessa Cecilia, una ragazza sorpresa dalla rete di solidarietà che autogestendosi e imparando giorno dopo giorno ha supplito alle carenze istituzionali.
“La Caritas sta raccogliendo la disponibilità delle parrocchie comasche per l’accoglienza diffusa”, ci dice don Carlo Calori, il parroco che sta ospitando la mensa autogestita. “Ma loro vogliono raggiungere la Germania o il Nord Europa, le istituzioni dovrebbero creare corridoi umanitari e lasciar passare queste persone”.
La cena è allietata dal concerto di Fatoumata Diawara, musicista del Mali di passaggio a Como. “Domani sera saremo a Seattle”, ci racconta. Stasera qui, nell’auditorium adibito a mesa della parrocchia di Sant’Eusebio.
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“Vogliamo lasciare l’Italia”, dicono. Nulla contro il nostro Paese, ma in Germania hanno parenti o amici. C’è chi è incinta di otto mesi e mezzo e partorirà tra pochi giorni, i familiari sono in Germania. Ha raccontato di aver già provato a entrare in Svizzera e di essere stata respinta nonostante l’evidente stato di gravidanza avanzato e le indicazioni sui parenti in Germania. Mattia e gli altri volontari hanno allertato alcuni medici comaschi, ora dovranno decidere se farla partorire qui o tentare nuovamente l’attraversamento del confine. Lei vorrebbe solo poter far nascere suo figlio vicino ai familiari.
Volontari, profughi e la signora incinta di otto mesi e mezzo si confrontano su cosa fare:
-Volontari, profughi, una donna incinta
In questi venti giorni sono arrivati e partiti da Como un paio di autobus, caricati con una parte dei migranti presenti e partiti verso il Sud Italia. Uno di questi è arrivato a Taranto, raccontano i volontari avvisati telefonicamente dai profughi. Come nel gioco dell’oca si torna alla casella di partenza, e tra qualche giorno, ripresi treni e bus, potrebbero essere di nuovo qui, a Como, per cercare di passare la frontiera.
Sono scappati dall’Eritrea, sono sopravvissuti al deserto, ai campi in Libia e al viaggio in mare. Sopravviveranno anche a questa infame Europa che non li vuole. Ma a che prezzo?