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Professione: reporter in pericolo

Otto giornalisti scomparsi, 54 in ostaggio, 153 detenuti. Sono i numeri del rapporto annuale di Reporter senza frontiere, la ong che tutela i giornalisti nel mondo. La libertà di stampa è in pericolo in particolare in Medio Oriente, dove il mestiere del reporter è più pericoloso. Altri Paesi caldi nel mirino di Rsf sono Messico, Pakistan, Nigeria, Cina ed Eritrea. Sette rapimenti su dieci avvengono in Paesi in guerra.

Il trend rispetto allo scorso anno è in peggioramento: nel 2014 i giornalisti ostaggio di gruppi terroristici o criminali erano 40. È soprattutto nello Stato Islamico che i giornalisti rischiano il rapimento. Diciotto reporter sono nelle mani del sedicente Califfo. Il più famoso tra questi è il britannico John Cantile, a Raqqa dal 2012. Ormai il giornalista è diventato una delle firme di Dabiq, l’organo di propaganda del sedicente Califfato. Nel numero del 18 novembre in cui si rivendicavano gli attentati di Parigi, Cantile scriveva che per l’Occidente ci sarebbero stati altri attentati ben peggiori dell’11 settembre. Sempre a Raqqa si troverebbe anche Obiada Batal, giornalista di 28 anni, siriano, che si trovava sul posto con due tecnici di Orient Tv.

In Siria si trovano anche Ángel Sastre, José Manuel López e Antonio Pampliega, tre esperti giornalisti di guerra spagnoli, rapiti in luglio insieme al loro fixer (guida e traduttore) Usama Ajjan, liberato in seguito. Non nelle mani dell’Isis, ma di al Nusra, secondo Reporter senza frontiere: sono quattro in tutto i giornalisti ostaggio del gruppo qaedista.

Anche Mosul, città irachena sotto il controllo dello Stato Islamico, è vietata per i giornalisti. Il 3 febbraio 2014 Zakir Khalil è imprigionati dai miliziani jihadisti con l’accusa di spionaggio. Da giugno, mese in cui Mosul è caduta, il gruppo jihadista ha rapito almeno 48 giornalisti e citizen journalist e ne ha uccisi 13. Altri nove giornalisti invece sono nelle mani degli Houthi, i ribelli dello Yemen. La Libia, invece, è il Paese dove i giornalisti scompaiono più frequentemente, senza che si abbiano più notizie.

Sono 153 i giornalisti in carcere, più altri 161 citizen journalist e 14 impiegati di media corporation. Il Paese che mette in cella più operatori dell’informazione è la Cina (23), seguita dall’Egitto (22), Iran (18), Eritrea (15) e Turchia (9). Negli altri Paesi del mondo i giornalisti in cella sono 66. Tre storie esemplari riguardano Wang Xiaolu, giornalista economico cinese; Narges Mohammadi, giornalista iraniana e l’egiziano Abdullah Al Fakhrani, cofondatore del sito Rassd.

Wang è detenuto dopo aver scritto un pezzo in cui raccontava della Commissione regolamentare finanziaria cinese, un organo che gestisce la borsa cinese. Non si hanno notizie riguardo la sua durata della sua pena. Mohammadi è la portavoce del Centro per la difesa dei diritti umani in Iran. È stata arrestata il 5 maggio e messa nel penitenziario di Evin, dove dovrà scontare una pena di sei anni. L’accusa nei suoi confronti è di aver svolto “attività contro la sicurezza nazionale” e aver dato “una cattiva pubblicità antigovernativa”. Al Fakhrani, egiziano, fondatore del sito Rassd, è stato arrestato per aver raccontato nell’agosto 2013 le dimostrazioni di Rabaa, in supporto del presidente deposto Mohammed Morsi. Dopo due anni è stato condannato all’ergastolo per “sostenere il terrorismo”. Altri cinque giornalisti hanno subito la stessa sentenza. E così l’Egitto è diventato il carcere più duro per i giornalisti nel 2015.

Qui è possibile scaricare in inglese il rapporto completo di Reporter senza frontiere.

  • Autore articolo
    Lorenzo Bagnoli
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