“Senza uguaglianza la stessa crescita economica frena e le crepe nella coesione sociale fanno crescere i populismi, mettendo a rischio la stabilità democratica. La crescita o è inclusiva oppure non è”.
Il tono di Romano Prodi, mentre parla con noi, resta come al solito pacato, ma le sue parole sono pesanti e pongono una questione cruciale, ormai ineludibile per la sinistra, per i progressisti: il contrasto alle diseguaglianze. È un forte messaggio politico quello che emerge dal libro-intervista di Prodi Il piano inclinato, con il sottotitolo: “Cambiare si può e si deve” (edito da Il Mulino).
Il padre dell’Ulivo avverte i naviganti: se si insegue la destra sui programmi o se si punta ai consensi facili o se si cerca di far propri i temi agitati dai populisti, si va incontro a una sconfitta storica.
Un ragionamento quello di Prodi che si inserisce in un contesto che lo preoccupa fortemente, un piano inclinato in cui l’Italia sta scivolando all’interno di un’Europa frammentata, divisa, impaurita, incapace di affrontare insieme sfide epocali: la globalizzazione, le migrazioni, il terrorismo.
Da dove ripartire? Prodi indica dei percorsi per un futuro centro sinistra di cui auspica il ritorno (“una grande casa comune”), ricordando che per ora “mi sento uno senza casa, ma vivo in una tenda vicina al Pd”.
Percorsi che partono dalla lotta alle diseguaglianze, alle povertà, con il reddito minimo di cittadinanza per i più poveri, una politica fiscale mirata a finanziare il rafforzamento dello stato sociale e dello studio (“scuola, scuola, scuola”, scandisce tre volte Prodi). Ridare valore politico al lavoro, coinvolgendo i sindacati. “Inaccettabile” indebolire i corpi intermedi (scelta che Renzi fece da premier, oggi imitato dai Cinque Stelle). Innovazione e politiche industriali mirate sulle medie imprese.
Professor Prodi, partiamo dalle diseguaglianze.
“Guardi, non riguardano solo l’Italia. Le disuguaglianze non sono solo un problema dell’Occidente. L’ingiustizia sociale attraversa il mondo. Le disparità sono aumentate anche in Cina e in India, negli Usa e nei Paesi europei. In Occidente siamo davanti a un’esclusione dai diritti di cittadinanza che coinvolge anche quel ceto medio che era considerato volano dello sviluppo economico e fulcro della stabilità, anche politica”.
Con quali conseguenze?
“Una piccola parte ha accresciuto il suo benessere, ma la maggioranza si è impoverita sotto gli effetti della crisi, a causa di una globalizzazione non governata, delle nuove tecnologie che bruciano posti di lavoro, senza creare nuova e stabile occupazione. Da un capitale che ha rinunciato spesso al suo ruolo di sostenere l’economia, dalle speculazioni finanziarie. Noi in questo contesto ci aggiungiamo la scarsa crescita. Ciò non è più accettabile, bisogna fermare questo ‘declino della speranza’”.
Tutelare chi è scivolato verso la povertà significa ripensare lo stato sociale.
“Sarò chiaro: oggi c’è un pensiero unico che vede il welfare come un peso, io penso al contrario che sia una risorsa”.
Lei pone la questione della redistribuzione del reddito. Facile a dirlo, ma concretamente cosa si può fare?
“Nel lungo periodo per aiutare le nuove generazioni c’è un solo strumento: scuola, scuola, scuola. Il nostro Paese ha un deficit di istruzione molto inferiore rispetto ad altri”.
E nel breve periodo?
“Bisogna ripristinare la tassa sulla casa per i redditi alti. Tutte le amministrazioni locali del mondo vivono sull’imposta sugli immobili, esentando le persone meno ricche. Non vedo perché questo non si debba fare anche in Italia”.
Accanto a questo?
“Ripristinare del tutto l’imposta di successione. Questa imposta nel secolo scorso ha dimostrato che ha temperato la diseguaglianza. Sarebbe giusto rimetterla come tassa di scopo, per sostenere i giovani nella scuola e nel lavoro”.
Lei ha espresso spesso una forte preoccupazione per la tenuta della coesione sociale, che colpisce in particolare i giovani. Cosa suggerisce?
“Lo sostengo da tempo e lo ribadisco: sarebbe utile per i giovani un periodo di servizio civile, mettendosi a disposizione delle persone e del loro territorio. Sarebbe un grandissimo valore aggiunto, un aiuto ai giovani, e alla coesione sociale”.
Intanto siamo un Paese con milioni di poveri.
“Lo so, è un dramma. Io penso che occorra un reddito minimo di cittadinanza da dare ai più poveri. Il reddito minimo di cittadinanza è un obbligo morale, ma va fatto pensando alle risorse che abbiamo. Non possiamo darlo a tutti, non abbiamo le risorse sufficienti”.
L’Italia cresce meno di altri Paesi, e il nostro sistema industriale langue… Come ripartire?
“Da produttività e innovazione. La crescita è fatta di queste cose qui, accanto alla riduzione della burocrazia. Oggi dobbiamo puntare sulla nostra eccellenza che è rimasta: le tante imprese medie. Ma serve un forte salto nell’innovazione, la costruzione di centri di ricerca qualificata su modello dei Fraunhofer tedeschi”.
Professor Prodi, per attuare tutti questi obiettivi, a partire dalla lotta alle diseguaglianze, occorre un governo di centro sinistra e una solida stabilità politica. Lei cosa pensa?
“Penso intanto che se non ci sarà una legge elettorale maggioritaria con i collegi uninominali, il nostro Paese avrà una situazione tipo la Spagna, con il ripetersi di elezioni, con la minaccia della speculazione internazionale che tornerebbe a colpire l’Italia. Oggi con il proporzionale si contraddice tutto quello che era stato detto: ‘la sera delle elezioni sapremo chi governa’. Dopo le elezioni inizierebbe l’incertezza, e questo mi fa paura”.
E l’idea dell’Ulivo è ancora attuale?
“Allora riuscimmo a mettere insieme i vari riformismi, liberalisti, socialisti, comunisti… per fare una politica comune nell’interesse del Paese. L’Ulivo nacque con una motivazione etica e politica fortissima. Poi la follia… fece finire quella esperienza. Oggi come si fa a riproporre quella situazione? Non vede le divisioni che ci sono a sinistra e non solo, le tensioni che si sono accumulate? E poi è una cosa di io cui non mi posso occupare. Ogni generazione ha i suoi compiti”.
E quindi oggi?
“Guardi, oggi ci vorrebbe qualcuno che sappia unire il Paese, sappia renderlo coeso, invece assisto con dispiacere a queste divisioni a sinistra che aumentano. E questo mi preoccupa molto perché allontana la possibilità di fare una vera politica riformista”.
E il suo rapporto con il Pd?
“Ho detto in questi giorni che ‘mi sento uno senza casa, ma vivo in una tenda vicina al Pd’. Penso che da un lato il Pd sia l’unica forza politica che mantiene la struttura di un partito. Ma queste continue divisioni, incertezze, oscillazioni – pensi solo al tema della legge elettorale – fanno sì che io mi trovi meglio in una tenda, sperando in una grande casa comune”.
Lei auspica una grande casa comune del centro sinistra?
“Certo, anche perché il Pd era nato come erede dell’Ulivo”.
Quindi lei dice che tocca al Pd rimettere in piedi questo centro sinistra?
“Esatto. E anche Pierluigi Bersani e Giuliano Pisapia devono fare la loro parte. Occorre un centro sinistra unito”.