Il mercoledì al Primavera Sound di Barcellona è il giorno degli arrivi. Quello in cui prende posto in città la maggior parte del pubblico e la maggior parte dei giornalisti e degli operatori che partecipano a uno dei più importanti, ricchi e variegati Festival musicali del mondo. Da giovedì pomeriggio infatti si apriranno i cancelli dell’enorme area del Parc del Forum, sul mare, ai margini della capitale Catalana, poco prima del confine con il comune di Badalona.
Quello è il luogo dove si tengono quasi tutti i concerti più importanti, in un programma che si articola in tre giorni, dal pomeriggio fino alla mattina. Ma sarebbe un errore pensare che il Primavera Sound fosse tutto raccolto lì: questo Festival, cresciuto in modo esponenziale nel corso delle passate sedici edizioni, è ormai diventato un evento capace di abbracciare quasi un mese di concerti, in buona parte dedicati a chi a Barcellona ci vive.
Quelli che ci arrivano per il Festival, invece, oltre alle tre giornate/serate/nottate di cui dicevamo, hanno a disposizione anche il programma del Primavera Pro. Che già da mercoledì, da oggi insomma mentre scriviamo, propone una serie di incontri e di panel molto stimolanti e interessanti. Come suggerisce il nome, il Primavera Pro è una sezione del Primavera Sound, arrivata al suo ottavo anno di vita, pensata per i professionisti del vasto settore musicale.
Giornalisti, ma soprattutto operatori: chi organizza Festival o concerti, chi vende musica, chi rappresenta musicisti, chi produce dischi, e molte altre professionalità dell’ambiente. A tutti costoro il Primavera dà uno spazio splendido, il museo e centro culturale e per le arti CCCB, nel pieno centro della città, che diventa un centro nevralgico di incontri, di networking, oltre che di dibattiti e conferenze.
Dove ascoltare, ad esempio, un panel in cui si provano a immaginare gli effetti che avrà la Brexit sul mercato musicale britannico: sia per gli inglesi che vogliono vendere la propria musica nei paesi della UE, sia per coloro che dall’Unione Europea vogliono continuare a suonare in Gran Bretagna. Sono diversi anche gli incontri con gli artisti, e uno dei più rilevanti di quest’anno ha avuto come protagonista uno dei più illustri esponenti del rock militante mondiale: Billy Bragg.
Oltre a prevedere delle elezioni politiche inglesi imprevedibili (secondo lui Corbyn ce la può effettivamente fare…), Billy Bragg ha soprattutto raccontato la sua storia personale e professionale. Ricordando, ad esempio, che… «Nel quartiere di East London in cui sono cresciuto ti veniva insegnato soltanto a trasformarti in materiale umano per le fabbriche d’auto. Io non volevo andare a lavorare in fabbrica, allora la mia insegnante a scuola mi disse che mi rimanevano solo tre opzioni: esercito, marina o aviazione. Così ho imparato a suonare la chitarra, per avere un ulteriore scelta da fare nella vita».
Bragg ha anche avuto modo di raccontare quello che sarà l’oggetto di un suo libro in uscita tra poche settimane, lo Skiffle. Un termine certamente sconosciuto ai più in Italia. Ma cos’è? «Si tratta di un fenomeno principalmente britannico – ha spiegato Bragg – nato nei club tradizionali jazz di Londra. In cui i giovani musicisti iniziavano a essere stufi del jazz commerciale che seguiva l’onda dello swing. Così come il punk dei Ramones nacque per liberarsi della magniloquenza di certo rock dei primi anni ’70, così lo skiffle nasce dal desiderio di suonare un jazz semplice, essenziale, puro. Questi ragazzi iniziarono ad ascoltare vecchie registrazioni jazz degli anni ’20, e anche precedenti, fino a trovare quel che cercavano nelle registrazioni dello storico bluesman Leadbelly e dell’etnomusicologo del folk Alan Lomax».
Cruciale per l’affermazione dello skiffle in UK fu il successo di un singolo pubblicato nel 1956 dallo scozzese Lonnie Donegan, “Rock island line”. «Il merito di Donegan – ha detto Billy Bragg – che nasceva suonatore di banjo e divenne un chitarrista, fu la sua idea di prendere la chitarra e di strapparla dalle retrovie delle band, per portarla al centro del palco. Grazie a lui, e allo skiffle che con lui ottenne una grande popolarità, si è creato quel brodo primordiale da cui è nata quasi qualsiasi cosa che ha caratterizzato il pop e il rock in Gran Bretagna. Dai Beatles fino ai Led Zeppelin, e anche oltre. E’ stato lui soprattutto a lanciare una serie di messaggi rivoluzionari, passati attraverso lo skiffle, che hanno formato più di una generazione di musicisti britannici: si può suonare anche senza essere provetti musicisti, si può cantare il blues anche senza essere afroamericani, si può suonare musica americana anche senza essere nati in America».
Anche per chi vive (erroneamente) il Primavera Pro solo come un appetizer, prima dell’abbuffata di musica dei prossimi tre giorni, incontri come quello con un mostro sacro come Billy Bragg non possono che rappresentare una straordinaria fonte di ispirazione. Da domani penseremo invece a come orientarci in una abbondanza di proposte musicali che costringerà a scelte a volte dolorose…