I media sono in attesa di sapere cosa farà Donald Trump una volta alla Casa Bianca. Per quello che si è capito finora i personaggi che segneranno le scelte della prossima amministrazione americana potrebbero portare il Paese indietro di parecchio tempo, soprattutto sul fronte dei diritti. Anche in Europa, dove l’avvento di Trump preoccupa non poco, ci si interroga su quali potrebbero essere i prossimi prodotti politici della combinazione tra crisi economica e malessere sociale.
Il punto è proprio questo. Donald Trump, tra le altre cose, è anche il prodotto di una realtà socio-economica di cui molti si erano dimenticati. Gli avversari di Trump, compresi i mezzi d’informazione, hanno puntato sul profilo, quasi sempre discutibile, del futuro presidente degli Stati Uniti. Perdendo però di vista i motivi che lo hanno portato fino all’inattesa vittoria nelle elezioni presidenziali.
È quindi giusto cercare di capire quale sia la realtà che ha aperto a Donald Trump le porte della Casa Bianca. Lo abbiamo fatto con Antonio Callari, economista al Franklin and Marshall College di Lancaster, negli Stati Uniti.
Professor Callari, è giusto dire che la vittoria di Trump è anche il risultato di politiche economiche e sociali che hanno lasciato indietro una grossa fetta della società americana?
È assolutamente corretto. I lavoratori sono senza rappresentanza politica da parecchio tempo e per questo hanno perso la fiducia nei movimenti politici tradizionali. La logica conseguenza è stata quella di affidarsi a un personaggio come Trump. La classe lavoratrice ha consegnato il potere a Donald Trump, proprio in assenza di una vera ed efficace politica del lavoro. Si tratta di un processo lungo, che va indietro di almeno venti o trenta anni. Promesse e promesse ma nessuna salvaguardia dei diritti dei lavoratori. La mancanza di lavoro, la mancanza della sicurezza di un posto di lavoro è l’aspetto centrale del fenomeno Trump.
Quindi la tradizionale classe politica, fino a Barack Obama, non è stata capace di risolvere determinati problemi e ha lasciato diverse zone del paese in una situazione critica…
Certo, questo è il primo elemento come dicevo. Alla base c’è l’incapacità della classe politica nella risoluzione dei problemi legati al lavoro. Molte regioni che un tempo erano le ricche regioni industrializzate del paese ora sono in pessime condizioni. Perà c’è anche un altro elemento. La gente non si fida più dei politici. Non li vede più come suoi rappresentanti. Barack Obama, per esempio, aveva ottime intenzioni, la gente lo aveva capito, ma alla fine ha governato facendo patti con Wall Street, con il mondo della finanza e delle grandi corporazioni. Alla fine per gli americani Barack Obama non era più il presidente che difendeva i loro diritti. Era un presidente che faceva i patti che poteva fare con Wall Street. Per questo motivo i democratici hanno perso voti. I democratici non erano più visti come coloro che avrebbero lottato per i diritti della gente normale. Molti avrebbero preferito Sanders, che non faceva parte della classe politica, proprio come Trump.
Anche nella sua zona, la Pennsylvania, è successo questo, giusto? Zone che si sono sentite abbandonate dalla politica tradizionale e che hanno cambiato modo di votare…
Sì, e c’erano tanti segnali in questo senso già dai tempi di Bill Clinton. La gente iniziava a rendersi conto che i suoi interessi economici non erano considerati. Ma è anche vero che le condizioni di coloro che in qualche modo erano salvaguardati da Clinton e poi anche Obama non sono migliorate. I poveri sono rimasti poveri. E anche lì sono venuti meno i voti che avrebbero aiutato Hillary Clinton a battere Trump. Quindi da una parte i lavoratori ormai contrari alla classe politica tradizionale, dall’altra parte i poveri. Questa combinazione ha fatto vincere Trump.