Il primo progetto, e l’unico mai realizzato, risale all’epoca delle Guerre puniche, al 251 a.C.
Plinio il Vecchio racconta di un ponte galleggiante fatto di barche e botti per trasportare dalla Sicilia al continente 140 elefanti, sottratti ai Cartaginesi.
In tempi più moderni, a metà Ottocento, ci hanno provato – e rinunciato – i Borboni e poi i Savoia quando, subito dopo l’Unità d’Italia, hanno accantonato il progetto di un tunnel sottomarino.
L’Uomo conquista la luna ma il ponte di Messina rimane la grande utopia del Novecento. Il sogno di unire Scilla e Cariddi resiste, anzi torna prepotente nel corso della Prima Repubblica, finché all’inizio degli anni Ottanta i governi del Pentapartito costituiscono la società Stretto di Messina Spa. Nell’estate del 1984 – Craxi è presidente del Consiglio – il quotidiano La Repubblica titola: “Nove italiani su dieci vogliono il ponte sullo Stretto”.
Passano i governi, i partiti, si avvicendano le Repubbliche e gli studi di fattibilità e le grandi opere si impongono nel dibattito politico. Nella campagna elettorale del 2001 – Berlusconi contro Rutelli – entrambi i candidati si spendono per la realizzazione del ponte.
Berlusconi lo promette quando governa e quando è all’opposizione. Nel 2004 Bruno Vespa lo accoglie a Porta a Porta con un plastico del ponte in stile Golden Gate.
Ancora, cadono e resuscitano i governi ma il presidente-operaio non demorde: “Io sognavo – perché l’ho sempre avuto nel cuore – di potere, prima di morire, passare sul Ponte”, confessa Berlusconi durante la sua ultima campagna elettorale, nel febbraio 2013. “Il Ponteeeee! Che farà della Sicilia una terra super italiana. Con la nostra vittoria aprirà subito il cantiere del ponte”. Ma quelle elezioni non le vince nessuno.
A progetto non ancora ultimato, già si stimano 600 milioni di euro spesi in consulenze. Le stime sul costo complessivo dell’opera – un ponte sospeso a campata unica che batterebbe tutti i record mondiali – continuano a lievitare sulla carta: nel 2005 si calcolano 3 miliardi e 880 milioni di euro; nel 2010, 6 miliardi e trecento miloni di euro. Solo un anno dopo i miliardi previsti sono almeno 8.
L’ultimo progetto – che viene poi bloccato dal governo Monti nel 2012 – prevedeva una struttura principale lunga 3.666 metri e 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari, tra Sicilia e Calabria. In una zona ad alto rischio sismico, con una geologia complessa, e in un tratto di mare con correnti forti.
Ma non c’è solo la natura ostile: due importanti istituzioni esprimono indirettamente il loro parere contrario alla realizzazione del ponte sullo Stretto: la Direzione investigativa antimafia porta davanti al parlamento le prove dei tentativi delle mafie di mettere le mani sugli appalti. E la Commissione di Bruxelles, nel 2011, cancella il ponte dalla mappa dei corridoi strategici transeuropei, escludendolo quindi dai finanziamenti dell’Ue.
La magistratura apre due inchieste. Sembra tutto finito, o almeno congelato. Persino la Stretto di Messina Spa viene messa in liquidazione nel 2013. Poi un anno fa il ministro dell’Interno Angelino Alfano (governo Renzi) rispolvera il grande sogno che fu del console romano Lucio Cecilio Metello: “Come gruppi parlamentari di Area Popolare abbiamo già pronto un disegno di legge che rimette in moto il ponte sullo Stretto. E io so già che un pezzo della sinistra italiana si opporrà. Eccome se si opporrà!”.
Matteo Renzi no, non si oppone. Anzi, oggi ha rilanciato: “Il Ponte crea centomila posti di lavoro ed è utile per tornare ad avere una Sicilia più vicina e per togliere la Calabria dal suo isolamento”. Parole già sentite in passato. Ma il ponte si farà o no?