La visita a Varsavia del vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans si è conclusa con toni cordiali e con un po’ più di ottimismo da parte dell’Unione europea circa la possibilità di un accordo con le autorità polacche sulla questione dello stato di diritto.
Una questione di grave attualità per Bruxelles a causa delle norme decise dal governo polacco per controllare i media e per depotenziare la Corte Costituzionale in modo da poter imporre più facilmente decisioni di carattere politico. Questi aspetti hanno creato tensioni fra l’Unione e le autorità di Varsavia. La Commissione europea aveva fissato al 23 maggio scorso la data limite entro la quale l’esecutivo polacco avrebbe dovuto dare disposizioni concrete per modificare le norme che, secondo i critici, hanno legato le mani alla Corte Costituzionale.
Il primo ministro polacco Beata Szydło aveva reagito con veemenza alla pressione esercitata da Bruxelles sul suo governo e aveva detto che mai Varsavia si sarebbe piegata ad ultimatum imposti dall’Unione europea e aggiunto che alcuni membri della Commissione stanno distruggendo l’Unione. Poi ci sono stati il viaggio a Varsavia di Timmermans e i suoi incontri con le autorità del Paese che come già precisato hanno alimentato speranze di intesa tra le parti.
Dopo la visita del braccio destro di Jean-Claude Juncker nella capitale polacca, la Commissione europea ha smorzato i toni e deciso di concedere più tempo alla Polonia per mettere fine alla crisi istituzionale in atto nel Paese che è divenuto membro dell’Unione europea il primo maggio del 2004. L’esecutivo dell’Unione ha deciso di rimandare la pubblicazione del giudizio sulla situazione in Polonia che era atteso già nei giorni scorsi.
Le autorità di Bruxelles prevedono di tornare sull’argomento la prossima settimana vista la volontà di collaborare mostrata, secondo Timmermans, dal governo polacco. “Mi sembra che le nostre posizioni si siano avvicinate”, ha detto il vicepresidente della Commissione europea. Timmermans ha anche aggiunto di concordare pienamente con la Szydło quando quest’ultima afferma che quello dello stato di diritto è un problema della Polonia e che la soluzione deve essere necessariamente solo polacca.
Toni più concilianti, quindi, tra Varsavia e Bruxelles dopo le tensioni di quest’ultimo periodo e dopo che si era profilata la possibilità di dar luogo nel caso della Polonia alla sospensione del diritto di voto nel Consiglio europeo a causa dei provvedimenti incriminati, fermo restando che l’Ungheria di Viktor Orbán, nel caso si verificasse uno scenario simile, potrebbe bloccare l’imposizione di sanzioni nei confronti della Polonia ed è noto che questo tipo di provvedimenti necessita un voto unanime.
Ora invece l’Unione è più ottimista in quanto ritiene che l’esecutivo polacco consideri anche suo interesse collaborare con Bruxelles per risolvere un problema così spinoso. Ma non è detta l’ultima. Settimana intensa, quindi, quella in corso per la diplomazia di Varsavia, la scorsa è stata caratterizzata, tra l’altro, dalla promulgazione, da parte del presidente polacco Andrzej Duda, della legge che proibisce ogni riferimento al comunismo o ad altri regimi totalitari nei nomi delle vie, delle piazze e di altri luoghi pubblici delle città del Paese. La legge dispone che le autorità abbiano un anno di tempo per cambiare nomi di luoghi pubblici riconducibili al comunismo o comunque a regimi totalitari. Secondo fonti locali il numero dei luoghi interessati al provvedimento è compreso fra le 1.200 e le 1.400 unità.
Massimo Congiu è direttore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, un’agenzia che si propone di monitorare il mondo del lavoro e degli affari sociali in Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.