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Memos di gio 21/05
A cura di:Raffaele Liguori
Chi ha paura dello stato imprenditore? E perché? Dopo 40 anni di delegittimazione dell’intervento statale (“lo stato non è la soluzione, ma è il problema”, diceva Ronald Reagan all'inizio degli anni ‘80), oggi lo stato sembra riguadagnare punti. Sotto la pressione della durissima crisi sanitaria ed economica si registrano forme di rivalutazione del suo ruolo. Dello stato sono gli aiuti, i sussidi, i prestiti, le garanzie. Alle persone, così come alle imprese. Il pubblico riemerge, mentre l’eccellenza del privato finisce nella polvere. E’ quanto riferisce la narrazione corrente, in questi tempi di pandemia. La nozione di “stato imprenditore” è il fortunato ritrovato scientifico dell’economista Mariana Mazzucato (“Lo Stato innovatore”, Laterza 2014) e dei suoi studi di questi ultimi anni. Una nozione che fa paura, ad esempio, al nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi: “non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti” (Corriere, 4 maggio 2020). E poi è bastato che Mazzucato fosse nominata nella task force guidata da Vittorio Colao, e consulente del governo Conte per le politiche industriali, per scatenare dimostrazioni (non richieste) e atti di fede pro “economia di mercato” e contro “statalismo, interventismo, populismo” (vedi “Appello a Mattarella” di Sgarbi, Henry-Levy, Vargas Llosa, Luttwak, Loewenthal, e altri – Repubblica.it 2 maggio 2020). Di tutto questo Memos oggi ha parlato con Filippo Barbera, sociologo dell’università di Torino. Chiude la puntata il messaggio di Giorgia Serughetti, sociologa a Milano-Bicocca, sui bambini e gli adolescenti, i dimenticati della #fase2.
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