La scarsa presenza delle donne nei ruoli politici di primo piano è diventata questione di grande impatto con la nascita del governo Draghi, otto ministre e quindici ministri e ancora di più ha colpito la mancanza di donne nella delegazione del Partito democratico. Si è capito così che tra destra e sinistra la questione di genere non fa molta differenza, anzi dentro Forza Italia di donne ce ne sono di più.
Il grande problema non è solo la mancanza di donne, ma quelle che raggiungono ruoli di primo piano quasi sempre lo fanno perché scelte da uomini, per cooptazione, perché appartenenti a correnti di partito e quindi coinvolte una contro l’altra in una sfida decisa e condotta da altri, sempre uomini.
L’ultimo caso si sta verificando sempre nel Partito democratico, nella scelta di una vicesegretaria donna accanto ad Orlando, un incarico importante nei vertici del partito che le donne hanno chiesto per sé, i nomi che si fanno sono quelli di donne che appartengono a correnti diverse, sembra quasi che le loro biografie non siano importanti, si preferisce dire i nomi dei colleghi uomini per le appartenenze, Lotti contro Guerini, Guerini contro Zingaretti. Certo, ci sono diciannove sottosegretarie donne e venti uomini, quasi pari, ma sono seconde rispetti ai ministri, uomini.
Le donne in questo anno di pandemia hanno perso molto, a cominciare dal lavoro, ma laddove stanno guidando i loro Paesi lo stanno facendo meglio dei loro colleghi uomini, l’esempio di Merkel è indicativo. La chiamano “Glass Cliff“, “scogliera di vetro”: le donne affrontano le sfide più difficili, quando poi tutto è risolto arrivano gli uomini e tornano al comando. Ma su duecento Paesi al mondo, solo venti sono a guida femminile.
In Italia ci sono due ministre che nei loro campi hanno stabilito un record: Marta Cartabia è stata la prima donna presidente della Corte Costituzionale e la neo ministra Cristina Messa è stata la prima donna a capo di una Università milanese e la quarta in Italia, ma la presenza in generale delle donne in Parlamento non riesce a spostarsi da una percentuale che oscilla sempre intorno al 35 o al 36 per cento sia alla Camera dei deputati che al Senato. Oltre non si va.
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