Al vertice del G20 dello scorso anno a Brisbane, in Australia, Vladimir Putin venne attaccato da tutti i leader occidentali per la sua politica in Ucraina. Il presidente russo lasciò la riunione dei capi di stato e di governo prima della fine, sbattendo la porta. La Russia era isolata e le sanzioni occidentali stavano mettendo in crisi la sua economia.
Un anno dopo le cose sono cambiate radicalmente. Le sanzioni per la crisi ucraina sono ancora in vigore e l’economia russa è sempre in difficoltà, ma nel frattempo Mosca ha riconquistato un ruolo centrale sullo scacchiere internazionale.
Il cambiamento è relativamente recente ed è stato piuttosto rapido. A settembre, quando la Russia annunciò il suo intervento militare in Siria, Europa e Stati Uniti parlarono di scelta inutile e pericolosa. L’amministrazione Obama disse che i raid russi non avrebbero portato a nulla.
Invece la scelta di Putin d’interventire direttamente in Siria ha cambiato il corso della guerra e ha mostrato tutta la debolezza dell’Occidente in Medio Oriente. Innanzitutto l’aviazione russa ha bloccato l’avanzata dei gruppi ribelli, evitando che Assad perdesse altro terreno in zone chiave: la Siria centrale, dove ci sono le principali città del paese, e la costa mediterranea, roccaforte della comunità alawita, la stessa della famiglia Assad. Non solo. Fino a pochi giorni fa i raid russi colpivano soprattutto i gruppi ribelli, compresi quelli supportati dagli americani, perché sono quelli che hanno messo in crisi Assad. L’aviazione di Mosca ha intensificato i bombardamenti sullo Stato Islamico solo questa settimana, ma gli Stati Uniti non hanno voluto o non hanno potuto impedire che questo accadesse, dimostrando così la loro debolezza.
L’abbattimento dell’aereo russo nel Sinai e gli attentati di Parigi, entrambi rivendicati dall’ISIS, hanno fatto il resto. Francia e Stati Uniti hanno chiesto la cooperazione di Mosca nella guerra al califfato. Al G20 di Antalya, in Turchia, Putin e Obama hanno parlato a lungo, e si rivedranno nei prossimi giorni insieme a Hollande.
Il Cremlino voleva evitare la caduta del regime, e ci è riuscito. Ma voleva anche bloccare il ritorno in patria di molti miliziani caucasici che si sono uniti allo Stato Islamico, e ora farà questo con l’aiuto dell’Occidente.
Ovviamente ci sono delle differenze, soprattutto sulla soluzione complessiva della crisi siriana e il destino di Assad. La Francia, che sta collaborando con la Russia, continua a chiedere l’uscita di scena del presidente siriano, ma in realtà la sua posizione si è ammorbidita. Il punto d’incontro potrebbe essere che Assad rimanga al potere per tutto il periodo transitorio, almeno un anno e mezzo, e non si ricandidi alle prossime elezioni.
Ma è ancora troppo presto per fare speculazioni sul futuro di Assad. In questo momento è importante sottolineare come di fronte alla necessità di sconfiggere l’ISIS tutti i paesi occidentali abbiano fatto marcia indietro sulla crisi siriana, accettando che il regime, almeno per ora, rimanga al suo posto. L’intervento russo ha anche rilanciato la ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi siriana. Qualcosa che l’Occidente ha sempre sostenuto ma mai implementato fino in fondo. La complessità del Medio Oriente rende ormai comprensibili strategie a geografia variabile. Il punto è che in questo momento giocano tutte a vantaggio di Putin e Assad.