L’Europa a più velocità non è una novità nel dibattito politico. Da molti anni ci si chiede come far progredire l’integrazione europea. La strada scelta dai governi negli anni Novanta è stata quella dell’allargamento. Schematicamente, potremmo contrapporre quella del rafforzamento.
Ma non è del tutto corretto. Insieme all’allargamento che ha portato l’Unione a 28 Paesi (27 dopo la Brexit) c’è stato via via anche un notevole incremento delle funzioni e delle politiche comuni. Ma non è mai stato fatto il “salto”. Quel salto verso una vera unione politica, decidendo invece di consegnare all’euro la bandiera dell’integrazione. Un’operazione che, se ha funzionato dal punto di vista monetario, ha fallito da quello politico.
Più di dieci anni fa, all’indomani della bocciatura via referendum della Costituzione, il politologo francese Christian Saint-Etienne si chiedeva come far progredire il progetto europeo. La sua risposta diede il titolo a un fortunato saggio: “L’Europa forte”. In estrema sintesi, la sua tesi era che l’Europa continuava ad avere un senso solo se si trasformava da “spazio” a “potenza”. Da luogo accogliente, aperto, gigante economico ma senza strategia, a vero e proprio organismo politico, decidente e federale. Una tesi che non si discostava molto da quella del tedesco Joschka Fischer. E che invece si contrappone al “sogno europeo” dell’americano Jeremy Rifkin, secondo cui la forza dell’Europa è proprio quella di essere un non-stato, veicolo di valori non imposti ma diffusi grazie a una sorta di moral suasion.
Tutto questo per dire che non siamo all’anno zero. E i vari commentatori un tanto al chilo farebbero bene a ricordarsene. Anche per poter cogliere la vera questione di oggi. La novità, rispetto al decennale confronto sui modelli da seguire. Un tempo il punto era: come si va avanti. Oggi è diventato: come si evita la fine dell’Unione. L’idea dell’Europa a più velocità sembra al momento prevalere. Ma come la si fa? Chi decide la velocità? E per quali membri? E soprattutto per fare cosa? Tutte domande inevase a cui l’elité politica e intellettuale dovrebbe affrettarsi a rispondere, se quella è la strada decisa, il salvagente. Non è detto che sia quella giusta, certo abdica al progetto di un Continente unito al sogno degli Stati Uniti d’Europa.
Di tempo ne è stato perso tanto. Forse oggi la paura della disgregazione farà da sveglia. Qualche segnale si vede. Si faccia in fretta, altrimenti l’unica velocità da decidere sarà quella dei saluti finali.