Il 21 maggio, il 58% dei votanti svizzeri ha detto sì nel referendum sulla Legge sull’energia che definisce il primo di due blocchi di riforme per attuare la Strategia energetica 2050 del Governo e del Parlamento svizzero. I suoi obiettivi sono: la transizione alle energie rinnovabili, l’abbandono graduale dell’energia atomica e dei combustibili fossili, la diminuzione delle importazioni di energia (attualmente il 75% di quella usata) e una forte riduzione dell’uso di energia pro capite.
Il Governo chiedeva agli elettori: “Volete accettare la legge federale del 30 settembre 2016 sull’energia (LEne)?” L’articolo 3 recita: “Per il consumo medio annuo pro capite di energia è perseguita, rispetto al livello del 2000, una riduzione pari al 16 per cento entro il 2020 e al 43 per cento entro il 2035”. In Svizzera l’obiettivo di una società a 2000 watt è popolare, ma suscita anche obiezioni. Alcuni lo ritengo non necessario, irraggiungibile o dannoso. L’associazione degli industriali Economie Suisse non ha preso posizione. Hanno invece raccomandato il sì l’associazione industriale Cleantech, quelle dei commercianti, quella dei contadini, il Governo, la maggioranza del Parlamento, e tutti i partiti tranne il maggiore, la SVP/UDC, che ha raccolto le firme per il referendum. Governo e il Parlamento hanno raccomandato il sì alla legge perché: “comporta l’abbandono progressivo dell’energia nucleare, permette di ridurre il consumo di energia in Svizzera e la dipendenza dalle energie fossili estere, nonché di aumentare la quota di energia rinnovabile indigena. Si creano così investimenti e posti di lavoro in Svizzera a vantaggio della popolazione e dell’economia.”
La riduzione del consumo complessivo di energia è l’obiettivo più ambizioso della strategia elvetica, perché mira a riportare (entro il 2050, o secondo alcuni il 2100) l’uso pro capite di energia al livello degli anni ’60 del secolo scorso (1,5 tonnellate equivalenti di petrolio), senza però diminuire la prosperità materiale. Questa dovrebbe anzi continuare a crescere – insieme anche al prodotto lordo – grazie all’aumento dell’efficienza energetica. Fare più con meno diventerebbe infatti possibile con l’innovazione di tecnologie, infrastrutture, organizzazione sociale e comportamenti individuali.
Il significato del referendum svizzero va al di là dei confini elvetici. Voler accrescere il benessere riducendo l’uso di energia vuol dire invertire la rotta energetica seguita fino ad ora nello sviluppo della civiltà. Per millenni, infatti, l’aumento dell’uso di energia è stato il presupposto per l’aumento della prosperità, della longevità e della popolazione. Questo processo si è accelerato nel ‘900 grazie alla sinergia tra metodo scientifico e combustibili fossili. Nuovi scienziati e tecnici hanno imparato a estrarre e sfruttare più carbone, petrolio e gas. Ciò ha permesso di trasferire più lavoro umano dall’agricoltura all’industria, alla scienza e alla tecnica. Questo fenomeno, a sua volta, ha permesso di imparare ad estrarre e bruciare ancora più combustibili fossili e di sviluppare tecnologie per usare sempre più energia, per esempio l’energia idroelettrica, quella atomica, e ultimamente le tecnologie per le energie rinnovabili. Si è così creata una spirale d’intervento umano sulla natura, che ha trascurato i propri effetti collaterali. Solo da mezzo secolo quella stessa comunità scientifica che aveva accelerato questo processo si dedica a studiarne le conseguenze indesiderate (per esempio il cambiamento climatico), e a proporre rimedi. Per l’insieme delle conseguenze globali di questa spirale energetica gli scienziati hanno coniato il termine di Antropocene, ovvero l’era geologica nella quale le attività umane sono diventate una delle principali forze che influenzano molti equilibri geologici e biologici del Pianeta.
E’ solo dopo anni di consultazione e discussione con tutte le parti sociali che il Governo e il Parlamento della Svizzera hanno approvato la complessa “Strategia energetica 2050”. Alla sua origine c’è lo scenario di una società a 2000 watt, secondo il quale la attuale società a 6000 watt (immaginate 60 lampadine da 100 watt sempre accese pro capite) dovrebbe ridurre di due terzi l’uso di energia primaria pro capite. 2000 watt sono approssimatamene il flusso continuo di potenza pro capite usato in Europa negli anni ’60 per tutti i servizi energetici, non solo quelli elettrici, con tutte le fonti di energia (fossili, idroelettriche, atomiche, biomasse). In un anno, 2000 watt di potenza equivalgono all’energia di 1,5 tonnellate equivalenti di petrolio (o 60 gigajoule, o 18 000 kWh). In confronto: in Bangladesh si usano 500 watt, in Europa 6000, in USA 12 000).
Lo scenario di una società a 2000 watt elaborato dal 1998 dal Politecnico federale di Zurigo, insieme al Politecnico federale di Losanna e alle sei maggiori istituzioni scientifiche e tecnologiche svizzere. Il governo elvetico lo conferma come cardine della politica elvetica nella sua Strategia per lo sviluppo sostenibile 2016-2019 come già fece nelle strategie del 2002, 2008 e 2012. A Zurigo, l’obiettivo di una società a 2000 watt è stato scritto nella Costituzione della città con il referendum del 31.11.2008 (76% i voti favorevoli). Anche altri cantoni, centinaia di Comuni, e molte associazioni tecniche e professionali, per esempio la SIA, Società degli Ingegneri e Architetti, hanno adottato questo scenario.
Concepito da fisici e tecnologi, lo scenario di una società a 2000 watt è in genere percepito come una transizione tecnica indolore, che richiede “solo” una più veloce adozione delle tecnologie più efficienti che già conosciamo. Questa sarebbe ottenibile con più efficaci politiche pubbliche, e con un nuovo dinamismo economico e finanziario orientato alla transizione ecologica. Altri – anche io tra costoro – ritengono invece che, in un’era di consumismo esasperato, di pubblicità dilagante e di rapida espansione di desideri non saturabili (si pensi alle tecnologie dell’informazione) i guadagni di efficienza ottenuti dagli ingegneri dell’energia siano annullati (effetto rebound) dall’aumento dei consumi perseguito dagli “ingegneri dei desideri” e da quelli della finanza. In questo caso quindi, una riduzione dell’uso di energia richiederebbe una strategia non solo di efficienza, ma anche di sufficienza, ovvero di riduzione, sia volontaria sia indotta, di una parte del flusso di prodotti e di servizi che oggi ci sembrano indispensabili.
Marco Morosini, Politecnico di Zurigo