La lista dei candidati annovera settuagenari come Joe Biden, Elizabeth Warren e Bernie Sanders che il giorno dell’inaugurazione avrebbero, rispettivamente, 78, 71, e 79 anni. In corsa c’è Kirsten Gillibrand, la senatrice di New York con il primato assoluto di voti congressuali anti-Trump. E Julián Castro, nipote di un immigrato messicano e cresciuto da una madre single, uno degli ispanici più influenti del partito. Indeciso ma secondo indiscrezioni ancora per poco, il senatore afroamericano del New Jersey Cory Booker mentre un’altra afroamericana, Kamala Harris, senatrice californiana e asso del foro, ha scelto oggi, anniversario di Martin Luther King jr. , per scendere ufficialmente in campo.
L’elenco degli aspiranti che hanno espresso interesse alla corsa presidenziale annovera poi ben due sindaci newyorchesi di ieri e di oggi – Michael Bloomberg e Bill De Blasio – l’attrice Angelina Jolie e l’ex congressman Beto O’Rourke, giunto ad un soffio dal diventare senatore nell’ultraconservatore Texas.
Le primarie democratiche del 2020 sono destinate insomma ad essere le più affollate e diversificate della storia americana. Con una dozzina di nomi già in gara e altrettanti in procinto di buttarsi nella mischia, i candidati decisi tra due anni a restituire la Casa Bianca al partito dell’asinello sono una passerella ideologicamente eterogenea di socialisti, moderati e conservatori d’età compresa tra i 40 e gli 80 anni. E con un numero senza precedenti di donne e afroamericani, un reduce di guerra gay, un indù e un vegano. La lista dei contendenti include veterani della politica – senatori, membri del Congresso, governatori e sindaci di piccole e grandi città e politici alle prime armi, ma pure uomini d’affari, imprenditori e persino uno scrittore new age.
Anche se è presto per individuare un vero frontrunner, fino ad oggi il favorito nei sondaggi è l’ex vice di Barack Obama Joe Biden, che non si è ancora dichiarato ufficialmente. L’unica cosa in comune tra questi candidati è l’avversione profonda nei confronti di Trump: l’uomo e la politica. In un’America dove il 95 % degli elettori democratici ha un’opinione fortemente negativa sull’attuale presidente, vincerà chi riesce a convincere il Paese di avere le carte in regola per salvarlo dallo sfacelo, arrestando la catastrofe politica, ambientale, umanitaria e morale dell’era Trump.
A soffiare sulle vele della squadra democratica è la nuova politica “grass root” di gruppi quali MoveOn, Indivisible e ActBlue, capaci di mobilitare milioni di volontari e trionfare, come si è visto alle ultime elezioni di medio termine. Anche grazie a loro la politica presidenziale democratica è profondamente cambiata rispetto al passato, quando donne e minoranze non avevano una reale chance di vittoria. Oggi gli sponsor multimiliardari non esercitano più il potere di veto sui candidati, come un tempo.
E infatti molti di loro si stanno battendo per abolire le controverse e illimitate donazioni di individui e gruppi privati alle elezioni. Proprio come fece a suo tempo Bernie Sanders, la cui candidatura ha dimostrato come la rivoluzione digitale è in grado di lanciare perfetti sconosciuti che grazie ai social media possono vincere in popolarità e raccolta fondi, anche senza la benedizione delle lobby e del partito.
Ed è proprio così che il giovane Beto O’Rourke è diventato un candidato plausibile per le presidenziali del 2020, capace di dare filo da torcere persino al candidato dell’establishment Joe Biden. “Le vecchie gerarchie che un tempo regolavano la lotta per le nomine democratiche non esistono più”, ci spiega la stratega democratica Hilary Rosen . “Oggi chiunque è in grado di vincere. L’importante è avere le idee e i programmi per risolvere i tantissimi problemi che affliggono la nostra boccheggiante democrazia”.
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