Due giorni dopo la sconfitta, tocca all’ex segretario Pierluigi Bersani parlare delle amministrative. Il segretario della “ditta” ribadisce quello che ha sempre chiesto al Pd renziano: aprire all’interno a discussioni serie. Finora questo non è successo. E una sconfitta così pesante, ragiona Bersani, non può essere divisa in modo equanime sulle spalle di tutto. La responsabilità pesa soprattutto su chi ha voluto questo Partito democratico.
“Io mi aspetto una cosa molto semplice – dice Bersani -: che il segretario dica ‘adesso discutiamo sul serio’. Con meno di questo non si va da nessuna parte. Lo si farà? Non ne sono sicuro. Uno dei problemi è stato, in questo periodo, non avere spazio per una discussione onesta, sincera e approfondita. E quando non hai una discussione fai fatica ad evitare degli errori”.
Vi dirà per che è responsabilità di tutti questa sconfitta?
“Io non credo che la responsabilità sia di tutti, però sono disposto a dire che tutti quanti insieme dobbiamo scuoterci e dobbiamo reagire. A questo sono ben disposto e intenzionato. Naturalmente a prezzo che ci sia una condivisione dell’analisi. Se mi si viene a dire che basta un rimpasto di segreteria nel partito per risolvere il problema, mi sembra che siamo proprio al de minimis. E io non applicherei il de minimis ad una vicenda che ha invece il carattere di una possibile dispersione di un patrimonio”.
Voi avete detto già nel passato che quest’alleanza con Verdini era sbagliata e non compresa da molti.
“Insomma, il problema di fondo è che la destra esiste in natura in questo Paese. Esiste prima della sinistra e pensare che la destra possa essere surrogata da un Pd che si sposta in po’ è un’illusione totale. La destra farà come un pugile in difficoltà: ti abbraccia per tenersi in piedi, ma quando si rimette in forze ti tira un cazzotto. Questo è molto evidente. Con tutte le volte che ci siamo avvicinati, ci sono venuti incontro? No, perché hanno una loro logica”.
Il risultato di Milano in questo senso può essere un caso emblematico?
“Il risultato di Milano ci dice che laddove comunque si riesce si mettere il Pd in un rapporto con il centrosinistra abbiamo un risultato. Casi come Rho o Cagliari che ci testimoniano che dove il Pd ha un colloquio con il centrosinistra è più facile raggiungere il risultato. Il Pd deve organizzare il campo del centrosinistra, non può dire che assorbe tutto da solo. Poi capisco che porta problemi, difficoltà di bilanciamento e discussioni, ma con meno di questo non si vince. Quindi tornare ad un’ispirazione ulivista, aggiornata ovviamente, resta secondo me la ricetta vincente”.
Parliamo del referendum: è vero che se si cambia legge elettorale sarete pronti a votate sì?
“Io ho votato sì alla camera e ci tengo alla mia coerenza. Ma qui il problema è un altro: personalmente sono anche pronto a votare come ho votato alla Camera. Ma se la campagna referndaria viene brandita, se la Costituzione viene brandita come un fatto di governo, un fatto di divisioni e non di unioni, non mi vedranno in questa campagna, perché non condivido l’impostazione. Condividerei una campagna che dicesse al sì di rivolgersi al no, mettendo anche i limiti a quest’operazione di dialogo. Ma intanto serve il minimo sindacale: un progetto di legge per l’elezione dei senatori, per garantire che non siano nominati. Secondo, si dica che, con una sola camera che dà fiducia al governo, si è disposti a riflettere sull’Italicum. Non sto mettendo condizioni, sia chiaro, ma se si vuole aprire una discussione costituzionale che realizzi l’obiettivo di unire le sensibilità su questo tema, sono queste le mosse da fare. Dopodiché si vedrà…”.
Ascolta l’intervista a Pierluigi Bersani a cura di Anna Bredice