Fortunato Zinni, testimone della strage di Piazza Fontana e autore del libro “Piazza Fontana nessuno è stato”, ha parlato oggi a Radio Popolare di quel fatidico 12 dicembre 1969 all’interno della Banca dell’Agricoltura.
L’intervista di Barbara Sorrentini a Fino Alle Otto.
A distanza di 51 anni dall’accaduto, cosa prova oggi? Cosa si porta dietro dall’esperienza e cosa vuol dire raccontarla ai più giovani?
È una cosa importante, la ritengo fondamentale. La trasformazione dei miei ricordi da testimone, raccontata ai giovani è il motivo per cui a 80 anni vado ancora nelle scuole, proprio perché questi ricordi si possano trasformare in memoria collettiva. Non sono uno storico, sono un testimone oculare, testimone di un’esperienza di cui avrei fatto volentieri a meno. Ma nel trasmettere questi miei ricordi ai ragazzi nelle scuole sento che la ricostruzione di quel giorno possa servire per capire meglio uno dei momenti più pericolosi e inquietanti della storia di questo paese.
Quest’anno è stato impossibile andare all’interno delle scuole. Com’è stata la sua attività di memoria e di ricordo in queste giornate?
L’incontro con i giovani è sempre stimolante. Bisogna però abbattere un luogo comune: molti dicono che non c’è nelle nuove generazioni la curiosità di capire e di sapere. A me questo non risulta. Quando vado nelle scuole ci sono tanti che si fanno avanti, che domandano e che restano stupiti dalla vicenda. Una delle domande postemi più spesso è perché il processo sia stato fatto una decina d’anni dopo e perché sia durato più di 35 anni, senza avere oggi ancora una verità giudiziaria. Ciò denota un interesse da parte dei giovani.
Quando parla con i giovani, quali sono i ricordi che trasmette di più?
A parte il mio racconto di testimone oculare, quello che è più interessante sono le domande insistenti sul processo. Tutti ascoltano con molta attenzione e soprattutto si emozionano quando racconto il giorno del funerale, con 300.000 milanesi in piazza in silenzio, senza slogan. Dal 21 di novembre al 21 di dicembre si verificarono tre funerali importantissimi per la città: quello di Annarumma, quello dei morti di Piazza Fontana e quello di Pinelli. Ognuno ha una caratteristica che racconta bene l’Italia di allora: il primo la caciara della maggioranza silenziosa e dei fascisti davanti alla Chiesa di San Carlo al Corso, con la caccia allo studente, aggressioni e saluti fascisti, insomma, il tentativo di scardinare l’ordinamento repubblicano istituito dalla resistenza. Il secondo il silenzio, assoluto, così clamoroso che si è fatto sentire anche fino ai palazzi del potere di Piazza Duomo. Infine, quello struggente di 3.000 persone che hanno accompagnato al cimitero la salma di Pino Pinelli, con quella canzone che faceva venire i brividi, “Addio Lugano bella”. Sono momenti che raccontano un’Italia che scopriva una guerra sotterranea per impedire le conquiste ottenute in quell’anno, dopo la rivoluzione studentesca del ‘68. Il ‘69 non fu un anno qualsiasi: iniziò con la visita di Nixon a Roma, si continuò con l’abolizione delle gabbie salariali a marzo e poi l’uomo sulla luna. Woodstock in agosto e l’autunno caldo, e con esso la prima legge sul divorzio e l’approvazione della 910, ovvero l’autorizzazione dell’accesso all’università anche degli studenti che non avevano frequentato il liceo. L’abolizione della legge sul concubinato il 3 dicembre, e poi la scoperta di un’Italia, ingenua forse, che si è ritrovata in una guerra. Già ad aprile venivano colpite la Fiera di Milano e l’Agenzia della Banca delle Telecomunicazioni in Stazione Centrale. Si era scoperto che si mirava a colpire la gente comune.
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