La rottura tra Donald Trump e Rex Tillerson è sicuramente avvenuta sulla questione coreana, anche se i due non si sono mai particolarmente amati. Ci sono state differenze caratteriali: il temperamento di Trump, i suoi tweet, gli improvvisi cambiamenti di umore e opinione sui temi più diversi, non sono mai piaciuti a Tillerson, fautore di uno stile più felpato. Tillerson è invece sempre stato considerato da Trump “troppo establishment”: i gruppi che lui rappresentava in questa amministrazione – quelli del grande capitalismo globale, finanziario e industriale – non sono gli stessi che hanno appoggiato l’ascesa politica di Trump.
Poi ci sono, ovviamente, le divergenze politiche. Trump e Tillerson hanno cozzato su molte cose: ruolo della Nato, commercio con la Cina, guerra in Afganistan, ma soprattutto nucleare iraniano. Tillerson ha chiesto più volte e con forza a Trump di non denunciare l’intesa; cosa che alla fine Trump ha fatto, pur senza grande convinzione (ancora in queste ore il presidente ha definito l’accordo “terribile”).
Dopo mesi di contrasti, freddezze, incomprensioni – Tillerson, in privato, ha anche definito il presidente un moron, un imbecille, un coglione – è arrivata l’inevitabile fine. Trump annuncia la partenza dei negoziati con la Corea del Nord e, a questo punto, ha bisogno di qualcuno di cui si fidi completamente. Qualcuno con cui ci sia perfetta comunità di intenti, vedute e carattere. Quest’uomo non può essere Rex Tillerson. Quest’uomo è Mike Pompeo, un repubblicano del Kansas, un falco nelle questioni di sicurezza nazionale e di politica nazionale. Pompeo, tra l’altro, è assurto a rilevanza nazionale grazie al Tea Party, cui lui ha subito aderito e che molti hanno visto come il precursore del movimento nazionalista e conservatore che ha poi trovato in Trump il suo punto di riferimento. Di più, da direttore della CIA, Pompeo ha instaurato un rapporto di fiducia e stima con Trump (cui, almeno tre volte alla settimana, ha consegnato personalmente i rapporti dell’intelligence; si dice che Trump, spesso, gli abbia chiesto di fermarsi e di discutere di politica).
Inquietante, verrebbe da dire, la scelta di Gina Haspel per sostituire Pompeo alla guida della CIA. Haspel era la vice di Pompeo. E’ stata vice direttrice del National Clandestine Service, il servizio della CIA responsabile delle rendition, i rapimenti e i trasferimenti di sospetti di terrorismo al di fuori di qualsiasi garanzia legale. Lo “European Center for Constitutional and Human Rights” ha anche chiesto al governo tedesco (il caso è quello di Abu Zubaydah) l’arresto di Haspel per aver presieduto alle torture del prigioniero. Nei posti chiave dell’amministrazione Trump si torna quindi a respirare un’atmosfera pesante. Escono di scena i cosiddetti globalisti – prima Gary Cohn, ora Rex Tillerson – ed emergono personaggi molto vicini al conservatorismo in materia di sicurezza nazionale e al nazionalismo economico di Trump.