
Sono ottant’anni che “quelli” sono in lutto per il 25 aprile. Non gli è parso vero cogliere la palla al balzo. È una festa mal sopportata dalle destre che ora ci governano. È una festa che vorrebbero rappresentare come di parte, spostando l’asticella poco a poco, fino a quando questa festa diventi un festivo qualunque, buono per una gita fuori porta.
Abbiamo visto che, già prima della morte del Papa, in alcune località certe amministrazioni hanno cercato di mettere i bastoni fra le ruote alle celebrazioni. Dopo il lutto nazionale, con quell’invito alla “sobrietà” che fa ridere ma, in realtà, è sottile, siamo al “liberi tutti”.
Il corteo più importante, quello di Milano, è un momento cruciale, è un evento ufficiale, nazionale, per certi versi anche formale, ma è anche il momento in cui si prende una gran boccata di ossigeno per i dodici mesi successivi. Il momento in cui ci ritroviamo e ci diciamo con lo sguardo: “Ok, ci siamo, nonostante tutto”. Per questo il corteo di Milano è il bersaglio grosso.
In un’epoca di stanchezza e demotivazione, di distanza dalla politica, disincentivare la partecipazione al 25 aprile è strategico per chi conta proprio sul fatto che diventi normale stare a casa, dalle piazze, dai cortei, dalle urne, fino a quando la democrazia non sarà svuotata.
Il corteo di Milano non si fiacca in un anno, non in due, ma forse in qualche anno sì.
Bisogna stare concentrati, guardare alla luna e non al dito, fare fronte comune, stare dalla parte giusta anche se la compagnia non è sempre la nostra preferita.
Buon 25 aprile!