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Per Hillary Clinton, il “dilemma Trump”

Non è più questione di battute. Non è più questione di sparate fatte per scioccare e scandalizzare. Non è nemmeno più questione di una mimica facciale da clown pazzo, o di un parrucchino troppo biondo e troppo falso.

I tempi in cui Donald Trump veniva ridicolizzato per le sue uscite esagerate, scorrette, improbabili, sono finiti. Il magnate e candidato repubblicano alla presidenza preoccupa ora un po’ tutti. I suoi compagni di partito, che vedevano in Trump un fuoco fatuo destinato a spegnersi presto. E i suoi avversari democratici, messi alle strette dai problemi che Trump solleva.

“Penso non sia più divertente”, ha detto giovedì Hillary Clinton a NBC. Soltanto qualche giorno prima, dopo le dichiarazioni di Trump sulla necessità di impedire ai musulmani l’entrata negli Stati Uniti, la Clinton si era messa a ridere. “Scusate, non posso farne a meno”, si era giustificata, lasciando capire di considerare Trump un tipo folkloristico, capace al più di “suscitare risate isteriche”.

La “risata isterica” deve essersi però spenta sulla bocca di Hillary Clinton – come degli altri candidati repubblicani alla presidenza – dopo aver visto i numeri di alcuni sondaggi realizzati dopo le dichiarazioni di Trump sui musulmani. Secondo un sondaggio Wall Street Journal/Nbc, il 42 per cento dei repubblicani è d’accordo con il bando ai musulmani chiesto da Trump (soltanto il 36 per cento si oppone). Le ragioni di preoccupazione sono diventate ancora più serie di fronte al sondaggio New York Times/CBS. Sette repubblicani su dieci, “probabili votanti alle primarie”, pensano che il magnate repubblicano “sia ben equipaggiato per affrontare la minaccia terroristica”. In Iowa, il primo stato dove si voterà per le primarie, le preferenze per Trump si attestano intorno al 35 per cento.

Se la cosa riguardasse soltanto la sfida all’interno del campo repubblicano, per la Clinton non ci sarebbe ragione di preoccuparsi; anzi, il favore che Trump continua a sollevare tra i conservatori USA potrebbe addirittura farle piacere, perché foriero di una lotta intestina particolarmente feroce. Il problema è che le proposte anti-islamiche di Trump si allargano oltre gli elettori repubblicani e seminano dubbi, timori, reazioni, simpatia in vasti settori dell’opinione pubblica. Anche di quella democratica.

La Clinton e il suo team se ne sono accorti a Waterloo, Iowa, durante un comizio elettorale affollato di vecchi sostenitori del partito. Nelle ore precedenti l’incontro, la campagna di Hillary aveva fatto muro contro Trump. La candidata aveva scritto un op/ed dal titolo: “No, Donald Trump, non impediremo ai musulmani di entrare nel Paese”. Huma Abedin, uno dei consiglieri più ascoltati dalla Clinton, aveva diffuso una mail con questo oggetto: “Sono una musulmana orgogliosa”, e la campagna della candidata aveva prodotto un adesivo, Love Trumps Hate, che gioca sull’assonanza tra il cognome del repubblicano e l’idea che alla fine l’amore possa sconfiggere l’odio.

Poi però Hillary è arrivata in questo bastione di America bianca e operaia, giusto in mezzo al Midwest, e ha trovato un elettorato, il suo elettorato, democratico e liberal, scosso dagli attacchi di Parigi e San Bernardino, preda di paure e timori, pronto a giustificare l’adozione di misure eccezionali per contrastare circostanze eccezionali. “Voto per Hillary ma sono d’accordo con Donald Trump”, è stato uno dei commenti raccolti all’evento di Waterloo dai media (si tratta, in particolare, della dichiarazione fatta al New York Times da una pensionata di 75 anni, che ha aggiunto: “Non dobbiamo fare entrare nel Paese questa gente”).

Ecco dunque che proprio a Waterloo Hillary Clinton non ha potuto eludere il problema. Se l’incontro, nel comune della cittadina, era stato organizzato per illustrare le proposte della democratica sulle tasse, gran parte del tempo è passato parlando di terrorismo e di come l’America può reggere le nuove sfide. Trump commercia “in pregiudizio e paranoia”, ha detto la Clinton, le sue proposte “non sono soltanto vergognose, sono anche pericolose”, perché danno ai terroristi forza e ragioni per nuovi reclutamenti. “E’ ok, è ok avere paura quando succede qualcosa di brutto – ha aggiunto –, è naturale che provochi ansia e paura. Ma poi, se vuoi essere davvero un leader, ti ricomponi, e ti chiedi ‘Cosa posso fare per il mio Paese? Come possiamo prepararci?’”

La “risata isterica” di qualche giorno fa è dunque completamente sepolta. Le dichiarazioni di Trump, il seguito che incontrano in un’opinione pubblica impaurita, gettano lo scompiglio tra i repubblicani ma costringono anche i democratici, in particolare la candidata più probabile dei democratici, a fare i conti con la “pancia” degli elettori, anche quelli di sinistra, con i loro fantasmi e pregiudizi. Tanto più che certe proposte di Trump in campo economico – guerra commerciale alla Cina, difesa della produzione nazionale – sono destinate a trovare un certo ascolto in quella fetta di elettorato bianco, operaio, colpito dalla crisi, che la Clinton cerca di conquistare.

La demagogia paga, con la demagogia bisogna fare i conti, potrebbe dunque essere il titolo migliore per definire questo segmento di campagna elettorale, sorpresa, manipolata, travolta dal “ciclone Trump”. Nessuno se l’aspettava, tutti erano più o meno pronti a scommettere sull’uscita di scena del magnate, risucchiato dalla propria incompetenza e dall’enormità delle sue dichiarazioni, ma non è stato così. A segnalare la minaccia reale portata da Trump è, in queste ore, uno che di politica se ne intende, Bill Clinton, proprio il consorte della candidata democratica e uno dei più straordinari comunicatori della politica americana degli ultimi decenni, capace come nessun altro di percepire desideri, paure, aspirazioni del suo elettorato. Bill Clinton ha chiamato questa fase “la campagna Instagram”, segnata da slogan facili e comprensibili con cui si dà risposta a problemi complessi. “Fuori i musulmani dall’America!”, “Un muro per tenere alla larga gli stupratori messicani!” e così via.

La politica mainstream, quella mediata dalle stanze delle leadership istituzionali, politiche, economiche, credeva che quel tipo di demagogia non l’avrebbe mai toccata. E invece i cancelli sono stati aperti, il non detto che suscita imbarazzo è stato detto, e ora tutti ci devono fare i conti.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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