Il primo giorno di Macron presidente è stato tutto per lui, dall’Eliseo agli Champs Elysées, dall’Arco di trionfo alla prima visita ufficiale all’ospedale militare di Parigi al capezzale dei soldati francesi feriti nella guerra al jihadismo islamista. Tutto un simbolo. Per finire alla visita protocollare all’Hôtel de Ville, il municipio di Parigi, autorità amministrativa responsabile dei palazzi della Republica, Eliseo incluso. Parabola impeccabile per il nuovo monarca republicano, secondo il commento unanime dei media francesi.
Ma prima di entrare definitivamente nel regno del Principe Macron, un ultimo sguardo sintetico al suo predecessore appena uscito di scena, François Hollande, che del nuovo sovrano è stato l’ultimo e fondamentale padrino politico. Prima chiamandolo come consigliere all’Eliseo poi promuovendolo segretario aggiunto e infine nominandolo, a trentasei anni, ministro dell’Economia. Creando le condizioni per fare di un brillante e ambizioso ex banchiere mai eletto prima, senza partito e illustre sconosciuto fino a tre anni fa, l’ottavo presidente della Quinta repubblica e il più giovane capo di Stato francese dai tempi di Napoleone.
Hollande non nasconde una palese soddisfazione per questa inattesa e imprevedibile successione. Vorrebbe essere ricordato come il presidente che ha aperto la strada al rinnovamento e all’unità nazionale che Macron vuole incarnare; come il presidente che ha fatto fronte al terrorismo e ha promosso l’accordo internazionale sul clima di Parigi. E magari, tra qualche anno, far dimenticare di essere stato il primo presidente della quinta repubblica a rinunciare a ricandidarsi sommerso dall’impopolarità; di essere stato il presidente socialista che ha portato il partito cardine della sinistra francese dal 28 per cento del 2012 al 6 per cento del 23 aprile scorso, il peggior risultato di sempre per il partito rifondato da Mitterrand quarant’anni fa; di essere stato il presidente di sinistra che ha lasciato la gauche mai così divisa e rimpicciolita elettoralmente. E per finire di essere stato il presidente progressista e pro-europeo che ha lasciato il Fronte nazionale della famiglia Le Pen convincere dieci milioni di francesi a votare per un programma nazionalista e identitario.