“Chiediamo un confronto con l’azienda, non possiamo accettare di essere pagati solo a cottimo, è uno sfruttamento inaccettabile”. A parlare con noi è Jamy Salati 22 anni, studente di informatica a Torino. Jamy è un co.co.co ,un collaboratore, un “rider”, di Foodora, azienda tedesca che usa una piattaforma web per consegnare a domicilio pasti caldi, cucinati nei ristoranti e nelle trattorie. Una delle start-up della sharing economy, l’economia della condivisione.
Foodora è operante a Torino (con 200 collaboratori) e a Milano. La protesta,la prima in questo settore, è scoppiata nel capoluogo piemontese. Sabato scorso Jamy e alcune decine di suoi colleghi hanno prima rallentato le consegne, poi le hanno bloccate , manifestando in bicicletta – loro strumento di lavoro – nel centro della città, piazza Vittorio Veneto. Rider e promoter, tutti insieme, con la divisa viola di Foodora. Quasi tutti sono studenti, tra i 20 e i 30 anni. Hanno distribuito volantini per spiegare le loro ragioni, chiedendo la solidarietà dei consumatori: “Almeno oggi non fate ordinazioni a Foodora”.
Raggiungiamo Jamy mentre sta facendo, con la sua ragazza, le pulizie di casa. “Sì, vivo in un casa studenti e in due paghiamo, qui a Torino, 500 euro al mese di affitto.”
Jamy perché questa protesta?
Perché avevamo chiesto all’azienda un incontro per confrontarci civilmente, ma non ci hanno risposto, e allora abbiamo deciso di protestare contro le nuove condizioni economiche che ci hanno imposto, che sono peggiorative.
In concreto di che si tratta?
Avevamo rivendicato un aumento di 1 euro della paga oraria che era di 5,60 euro lordi. Prima ci hanno detto che erano disponibili, se avessimo raggiunto degli standard nelle consegne. Noi abbiamo risposto che andava bene.
E poi cos’è successo?
E’ successo che ci hanno presi in giro. Sono passati al cottimo puro: 2,70 euro netti a consegna. Inoltre ci hanno negato un minimo di rimborso delle spese del cellulare e di quelle per la riparazione della nostra bicicletta.
Però la media delle vostre consegne è di due all’ora. Due consegne per 2,70 euro fanno 5,40 euro netti all’ora. Di fatto così l’aumento lo avete ottenuto.
Sì, si tratterebbe di 40 centesimi in più. Il problema è che dovresti riuscire a fare due consegne all’ora stabilmente, ma questo non avviene sempre e quindi non è giusto che noi dobbiamo pagare le conseguenze del fatto che Foodora non riesce a avere più clienti. Un mio collega, l’altro sera, nelle tre ore a disposizione dell’azienda, ha fatto solo una consegna. Perché il calo di ordini deve pesare su di me, sul mio stipendio, sulla mia vita. Per questo chiediamo un minimo di fisso, oltre il cottimo. Non siamo schiavi. Tenga conto che a nostro carico c’è la bici,lo smartphone e le spese telefoniche, gli strumenti essenziali per le consegne.
Lei dice questo , però voi siete inquadrati come collaboratori di Foodora…
In realtà noi siamo nei fatti dipendenti di Foodora: costretti ad indossare la divisa aziendale, sottoposti a rapporti gerarchici, in balia delle loro decisioni e sottoposti a delle valutazioni per cui, se non siamo accondiscendenti nei loro confronti,ci vengono dati meno turni.
Voi protestate ma l’azienda vi ha risposto chiarendo che “l’occupazione per Foodora deve essere considerata un secondo-terzo lavoro. Non un primo. Per chi vuole guadagnare un piccolo stipendio e ha la passione per andare in bicicletta. Non un lavoro per sbarcare il lunario”.
Guardi, questo non ce lo hanno mai detto quando abbiamo fatto i colloqui di lavoro. In realtà il rischio aziendale viene scaricato su di noi, lavoratori e lavoratrici, che tra il resto -come le dicevo-mettiamo noi i mezzi , gli strumenti del lavoro. Noi chiediamo delle garanzie, delle tutele minime, una paga oraria minima. Lei lo sa cosa rischiamo, quando dobbiamo fare le consegne con pioggia o neve? Se vai sotto i 15km/h, ti arriva un messaggio di accelerare. A me una volta che andavo piano per la pioggia il responsabile ha chiamato e mi ha detto: “Corri Jamy,molla i freni”.
Foodora ha fatto sapere di essere disposta a incontrare i lavoratori, ma non collettivamente, ma “face to face” , singolarmente. L’azienda ha anche contestando le cifre fornite dai lavoratori che hanno protestato, ma non ha fornito proprie cifre sulla parte economica del contratto.