Europol nel suo rapporto annuale sulla situazione del terrorismo nell’Unione Europea fornisce alcune importanti informazioni.
L’Isis potrebbe colpire ancora con le stesse modalità usate per la strage del Bataclan: “Gli attacchi del 13 novembre a Parigi hanno inaugurato la tattica dell’Is di utilizzare armi di piccolo calibro con ordigni esplosivi improvvisati portatili per attacchi suicidi, progettati per causare perdite massicce. Il modo in cui questi attacchi sono stati preparati e attuati (organizzati da persone rientrate in patria, molto probabilmente dirette dalla leadership dell’Is e con l’utilizzo di reclute locali, ci portano alla valutazione che episodi simili si possano ripetere”.
E, poi, altra informazione: i lupi solitari sono spesso malati di mente.
Abbiamo chiesto a Paolo Giulini, criminologo clinico, esperto nel settore penitenziario e docente a contratto presso la facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano un commento su questo tema.
“E’possibile che in qualcuno di questi soggetti ci siano delle vere e proprie psicosi, sindromi di bipolarità, schizofrenie paranoidi. Ma mi sembrano dei casi molto rari. Più in generale, credo che si tratti di semplici disturbi della personalità che sono però presenti anche in buona parte della popolazione considerata normale. Penso che potrebbe essere fuorviante considerare questo tema della patologia come quello centrale per spiegare certi comportamenti. A me sembra che se c’è qualche cosa da segnalare debbano essere degli evidenti sintomi di sindrome post traumatica che sembrano caratterizzare questa generazione. Sono questi elementi post traumatici (non per forza diretti, ma anche indiretti) che poi possono portare a una dissociazione dalla realtà e di conseguenza al compiere atti estremi anche su di sé. C’è poi il tema della collera compressa che attiva un motore distruttivo. Penso che se dobbiamo guardare all’aspetto pischiatrico, dobbiamo pensare a questo e non a patologie conclamate”.
Cosa ne pensa del caso dell’attentatore di Nizza?
“Non conosco a fondo la sua biografia. Sono molto diffidente rispetto a quello che viene raccontato. Di persone così ce ne sono tante nelle nostre carceri e che sono in prigione perché che hanno compiuto atti contro altre persone, ma una cosa è questo e l’altro è pensare che uno si radicalizzi in quindici giorni perché è un sociopatico. In genere, dietro c’è una struttura criminale, un gruppo che guida e fornisce aiuto e indicazioni. Credo poco al lupo solitario puro, come penso sia stato invece il caso del ragazzo afghano in Germania. Il lupo solitario in genere produce danni, ma sono per lo più limitati rispetto a quelli che invece producono persone che hanno dietro un gruppo strutturato, come accadde al Bataclan. Nel caso della Germania probabilmente si può parlare di un attentatore solitario che sulla base di un disturbo della personalità si è ideologizzato in poco tempo e si è autorizzato a questo tipo di condotta.
E Nizza?
“Penso che nel caso specifico ci sia stata un’organizzazione alle spalle. Che ha approfittato della “debolezza” dell’attentatore. Io vedo una sindrome post traumatica. Qui abbiamo un’intera generazione che soffrirà di questa sindrome. Traumi, ripeto, che i singoli hanno vissuto o visto, magari nella storia dei loro genitori. Nel caso di Nizza, può esserci stata come reazione una dissociazione dalla realtà, è entrato in un aspetto trionfalistico e ha deciso di di fare quello che ha fatto nel suo delirio di onnipotenza”.
Come si spiega la violenza dell’Isis dal punto di vista psichiatrico ?
“E’una violenza alimentata nel corso degli anni da altri piani di violenza. E’una violenza che arriva da lontano, subita o vissuta in ambito famigliare. Questi aspetti di dolore derivati da situazione traumatiche (ripeto: non per forza vissuti sulla propria pelle) portano poi alla violenza e alla volontà distruttiva. In alcuni diventa sadismo vero e proprio (piacere nel fare del male): lì ormai siamo alla perversione e all’alimentazione della perversione”.
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Psychoerrances 2 - Considerazioni sulla cura oggi, dialogo con lo psichiatra Giuseppe Agrimi
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