Quando la violenza riguarda i bambini, suscita reazioni forti, viscerali. I fatti di Caivano – un uomo accusato di violenze sessuali e omicidio di una bambina, in un contesto di omertà – è stato uno di questi: pene esemplari, castrazione chimica, fino alle richieste di pena di morte verso il “mostro”. Le pene in Italia si dovrebbero basare su due pilastri: punizione e rieducazione. Qual è la punizione “giusta” per gli autori di questi reati, restando nello stato di Diritto? È possibile un percorso di rieducazione?
Ogni caso fa storia a sé: ma per dare una risposta consapevole, è necessario innanzitutto conoscere. Paolo Giulini e Carla Xella lavorano nelle carceri con i cosiddetti “sex offenders”, gli autori di reati a sfondo sessuale: uomini violenti, stupratori, pedofili. Giulini è criminologo clinico, esperto nel settore penitenziario, mediatore. Carla Xella è psicologa e psicoterapeuta. Hanno fondato il progetto CIPM, Centro Italiano per la Promozione della Mediazione, che in breve tempo è diventato un esempio importante di quali strade si possono seguire in questo campo. Esperienze e riflessioni che hanno scritto in un libro Buttare la chiave? – La sfida del trattamento degli autori di reati sessuali.
Li abbiamo ospitati in un Microfono aperto per discutere di questo tema, delle nostre reazioni, e per farci raccontare chi sono gli autori di reati sessuali, qual è la loro storia, portarci nella loro testa. Un racconto delicato e complesso, che fugge dai luoghi comuni e dalle scorciatoie. Per non dimenticare che l’obbiettivo non è la vendetta, ma evitare chi ci siano nuovi carnefici, e quindi nuove vittime.
“Sono storie diverse: c’è chi abusa perché sfoga la violenza nel sesso, perché è attratto dai minori e non riesce a esprimere la sessualità con gli adulti, c’è chi ha subìto a sua volta violenze. Il nostro primo compito è valutare la loro pericolosità, e seguirli. Ma per farlo bisogna innanzitutto conoscerli”, spiega Carla Xella.
“Il primo passo è chiedersi cosa scatena questa violenza”, spiega Paolo Giulini. “L’esperienza ci fa dire che non è un modo aggressivo di esprimere la sessualità, ma un modo sessuale di esprimere la violenza. È una pratica di dominio e di potere. Noi abbiamo un Paese con leggi molto avanzate sul piano punitivo, estendono il concetto di violenza sessuale a qualsiasi contatto che superi il limite. E nelle carceri gli autori ci finiscono, non è qui il problema. La pena è fondamentale per restituire alla persona la consapevolezza del male compiuto. Ma la risposta solo punitiva o vendicativa non basta da sola a restituire questa consapevolezza, dei danni compiuti e del problema che ciascuno porta in sé.”
Un modello e un’impostazione che ormai si sta allargando perché ritenuta efficace nel prevenire nuove vittime: “Una volta ci chiamavano gli amici dei pedofili – continua Giulini – ma ormai nel nostro ambiente professionale è un aspetto superato e in tutta Italia si stanno avviando progetti che vanno in questa direzione”.
Ascolta qui il Microfono aperto con Paolo Giulini e Carla Xella