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Pane, pistole e parole da trovare per dire quel che Berlinguer discuteva già con intellettuali e operai nel ’77

Uvalde ANSA

Le lacrime del presidente, l’appello della vicepresidente e un grande senso di impotenza dopo la strage di Uvalde, sempre meno chance e forza, quasi nessuno parla di abolizione, al limite di “gun control”. Se fino a qualche anno fa si aveva la sensazione di un lento ma progressivo avanzamento nell’opinione pubblica oggi ci si chiede se tutto non sia stato vano.

Non basta una media di 19 stragi all’anno da più di un decennio per orientare il dibattito, si discute ci come si usano le armi e non della loro circolazione. Non bastano nemmeno i comportamenti evidenti degli stragisti che annunciano ciò che faranno sui social media, in cerca di attenzione. Come i due stragisti di Colombine che erano sicuri che avrebbero fatto un film su di loro, c’è un corto circuito tra il sistema mediatico e la solitudine disperata dell’esperienza moderna. Perciò, anche se ci sentiamo impotenti, e lo siamo, davanti a tragedie come quelle di Uvalde, stiamo costruendo un mondo diverso ogni volta che lavoriamo a un sistema di comunicazione che non promuova miti e pulpiti violenti.

Si parla di grano e in Ucraina esce uno spot fiabesco e molto guerresco: “trasforma il tuo raccolto in una fortezza invincibile”.

Il prodotto sono dei pesticidi. L’agenzia porta il nome di un grande agronomo russo: Michurin, protagonista della rivoluzione agricola sovietica (un film del 48 lo racconta). “Chi produce pane, produce pace” diceva il Premio Nobel per la pace 1970 Norman Borlaug, capostipite della Rivoluzione verde che strappò alla fame milioni di persone nei primi anni ’70.

Oggi il grano è ostaggio della guerra e la Rivoluzione Verde ha cambiato significato. Perché cresce la coscienza della cittadinanza come cerca di raccontare la campagna Make My Money Matter che punta il dito sui fondi pensione e il cui slogan è: “per costruire un futuro giusto e sostenibile in cui tutti vorremmo andare in pensione”.

Enrico Berlinguer è stato un precursore dell’austerità, poco ricordato in questo suo centenario, ne inizia a parlare nel 1977, criticando spreco, consumismo e prediligendo responsabilità, “non si tratta certo di vivere come miseri fraticelli…” (un libro lo ricorda): “Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana”.

Come chiamiamo tutto quello che non è consumismo? Cioè che produce benessere ma non consuma le risorse del pianeta? Non bastano più le parole negative come “consumo critico” o “responsabile”… ormai il fenomeno è più vasto e ne serve una nuova, esatta e tutta sua.

Martedì, ultimo del mese, si conclude negli Stati Uniti l’Asian Heritage, ossia il mese dedicato dall’amministrazione Americana ad omaggiare il contributo degli asiatici e degli Abitanti del pacifico alla storia americana Month: ecco alcuni spot che raccontano l’evoluzione del rapporto tra statunitensi asiatici e opinione pubblica:

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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