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Operazione Carosello: dallo champagne alle mafie

champagne

Migliaia di bottiglie di champagne vendute dall’Italia alla Francia hanno destato più di un sospetto nella Guardia di finanza che ha scoperto un vorticoso giro di fatture false che in sei anni ha generato un giro d’affari di 850 milioni di euro o sarebbe meglio dire 170 milioni di Euro d’evasione dell’Iva accertata: si perché le bottiglie continuavano a essere cedute da società cartiere e filtro in mezza Europa, in tutto 43 aziende, solo per frodare il fisco e così 17 persone sono finite indagate tra gestori, commercialisti, esperti di logistica, e 6 sono state arrestate, la metà ai domiciliari e residenti all’estero, tra loro un noto imprenditore del settore bevande. Sono tutti accusati di associazione a delinquere e una serie di reati economici fatture false, riciclaggio, frode, appropriazione indebita. 220 i milioni di euro sequestrati dalla guardia di finanza a titolo preventivo.

La normalità

Fino a qui, tutto più o meno “normale”, di queste operazioni riceviamo notizia abbastanza spesso, anche se la dimensione qui è significativa oltre che essere curioso il veicolo della truffa “lo champagne”. Negli ultimi mesi del 2023 due inchieste, per oltre 100 milioni di euro, avevano riguardato il settore del retail informatico a Bologna e Varese. Questo tipo di truffe sono dette “carosello” perché utilizzano una serie di società tra Italia ed estero per registrare il trasferimento di beni o servizi, con un finale credito d’Iva da recuperare, che in realtà non è mai stata versata. Sono la punta dell’iceberg della criminalità dei colletti bianchi e (come vedremo) della criminalità organizzata. E per l’Italia rappresentano una vera piaga che tocca molti settori e si avvale della collaborazione di tanti professionisti. D’altronde siamo, da sempre, i campioni d’Europa per frodi, evasioni ed elusioni Iva, che però stanno diminuendo grazie soprattutto dice la commissione europea alla digitalizzazione sia delle dichiarazioni e dei pagamenti come dei controlli, in pochi anni l’Italia è passata da 30 miliardi di evasione Iva a quasi 15. Le truffe invece sono in aumento.

I legami facili

Il business dà grandi utili e bassi rischi (anche di sanzioni, come vedremo) e così è diventato sempre più uno dei settori di grande interesse per la criminalità organizzata. Come raccontano le inchieste sempre più gruppi mafiosi disinvestono da settori ad alta punibilità per dedicarsi ai reati fiscali di questo tipo, diventando delle vere e proprie centrali di servizio per l’economia cosiddetta legale. Lo ha spiegato il Procuratore capo di Brescia Francesco Prete, in una recente intervista, che vi riproponiamo lanciando un allarme davvero preoccupante: finché le triangolazioni avvengono con paesi europei si riescono a scoprire, ma se le attività si espandono in paesi quasi impossibili da raggiungere (come lingua, sistema, scambi giuridici e così via) come la Cina, e sta succedendo, le indagini non sono più efficaci.

Sentiamo l’intervista a Francesco Prete

 

Le rottamazioni delle sanzioni

Che fare allora? Dovrebbe intervenire il governo decidendo che questo tipo di reato oltre che odioso è grave e perseguendolo a costo di riformare il credito d’imposta. L’attuale esecutivo, però, sembra aver allentato la presa sulle sanzioni, visto che nella legge di Bilancio ha reiterato la “sanatoria delle liti pendenti”, che consente di pagare solo il 40% della sanzione per l’evasione IVA, non solo, con la rottamazione detta “quater” appena varata permette ulteriormente di mettersi in regola versando solo le somme dovute, senza sanzioni, interessi o altro, a rate. Non proprio una punizione per chi ha sgarrato. Così ad esempio Ilfattoquotidiano.it cita il caso di una azienda, a sua volta riportato da FiscoEquo, che pur avendo perso in primo grado rispetto alla sanzione di 1 milione di euro per fatturazione per operazioni inesistenti, è riuscita a pagare quasi nulla.

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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    La valorizzazione dei mais dell’Appennino emiliano, romagnolo e toscano. Da tempo alcuni agricoltori stanno recuperando le varietà di granoturco delle rispettive zone di montagna, come il Principe Scavolino della Valmarecchia, in provincia di Rimini al confine con quelle di Pesaro-Urbino e Arezzo, il Rosso di Rasora, nel bolognese, l’ottofile della Garfagnana, in provincia di Lucca. Un lavoro in collaborazione il corso di laurea magistrale Agrifood Sustainability dell’Università di Pavia, il professor Graziano Rossi studia la genetica di questi mais delle terre alte del Centro Italia, oltre a sostenere la nascita di comunità del cibo. Per le Parole dell’Agroecologia il professore Stefano Bocchi dell’Università Statale di Milano racconta la complessità, e la diversificazione, dell’ecosistema suolo. La rubrica Il belvedere sui giardini storici e sugli alberi dell’agronomo Daniele Zanzi è a Villa Toeplitz di Varese, nella cui genesi c’è una donna protagonista. Alfredo Somoza racconta l’impatto ambientale e sociale delle grandi piantagioni dei banane, il frutto tropicale più diffuso, e le piccole produzioni europee in Grecia e Spagna. Nelle Multinazionali del Cibo, queste sconosciute Andrea Di Stefano affronta il tentativo di rendere sostenibile l’acquacoltura, vista la domanda crescente di consumo di pesce su scala globale. Ci spostiamo in Valcamonica, in Lombardia, per la produzione del formaggio Silter, realizzato in estate in alpeggio, nei caseifici del fondovalle nel resto dell’anno. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Mangia Maccheroni di Emilio Sereni sull’alimentazione del Sud Italia, che dalle verdure si avvicina alla pasta solo alla fine del diciottesimo secolo. A cura di Fabio Fimiani.

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