Si chiamava Omid, il cognome è sconosciuto, e aveva solo 23 anni. Mercoledì, durante la visita dei funzionari dell’Agenzia Onu per i rifugiati sull‘isola di Nauru dove era detenuto si era dato fuoco. Era stato ricoverato all’ospedale di Brisbane ma non ce l’ha fatta. A causa delle ustioni, oggi è morto, diventando un simbolo dell’inumana politica dell’Australia sull’immigrazione. Secondo la legislazione australiana in materia di immigrazione, chiunque venga intercettato mentre tenta di raggiungere l’Australia su una barca viene spedito nei campi di Nauru e Manus senza la possibilità di essere un giorno accolti in Australia come rifugiati.
Più di 800 persone sono attualmente detenute sull’Isola di Manus per conto dell’Australia. Il centro detentivo di Nauru ospita altre 500 persone circa ed è stato aspramente criticato dalle Nazioni Unite e dalle agenzie per i diritti umani per le condizioni inumane e i rapporti che indicano i sistematici abusi su minori.
La corte suprema di Papua ha stabilito che questi centri violano la costituzione del Paese. E dovrà essere chiuso. Il ministro per l’Immigrazione australiano Peter Dutton ha detto che la decisione della Corte Suprema della Papua Nuova Guinea non cambierà la politica australiana di detenzione extra-territoriale. La politica australiana nei confronti dei richiedenti asilo ha attratto molte critiche a livello internazionale dai gruppi in difesa dei diritti umani. “Alcune persone sono state detenute per più di tre anni, contravvenendo alle leggi della Papua Nuova Guinea, in condizioni oltraggiose”, ha dichiarato Elaine Pearson, il direttore nazionale di Human Right Watch. “È ora di fermare gli abusi su persone vulnerabili che chiedono solo sicurezza e l’opportunità di ricostruire le proprie vite”.