E’ un puzzle di misteri, domande, dubbi, quello che emerge all’indomani della strage di Orlando. Il dato di fondo sembra però essere quello di una persona, Omar Mateen, che non aveva alcun vero legame con l’ISIS, ma che era, come ha detto ieri Barack Obama, risultato dell’homegrown extremism, l’estremismo cresciuto in casa.
L’INDAGINE – Mateen era stato interrogato dall’FBI tre volte. Le prime due nel 2013, quando l’uomo si era vantato con alcuni colleghi della G4S (la società di servizi per la sicurezza per cui lavorava) di essere stato in contatto con i fratelli Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, responsabili delle bombe alla maratona di Boston. L’indagine aveva concluso che Mateen si era inventato tutto e che non poneva alcuna minaccia specifica.
L’altro contatto tra FBI e killer di Orlando è avvenuta l’anno dopo, nel 2014. Mateen si vantò di legami con Moner Mohammed Abusahla, residente della Florida, militante del Fronte al-Nusra, che si è fatto saltare in aria in un attentato suicida in Siria. Anche in questo caso, l’indagine concluse che non c’era alcun collegamento reale tra Mateen e gruppi terroristici.
E’ questo il contesto che ha fatto dire a Barack Obama che non ci sono prove che Mateen sia stato guidato da una struttura terroristica straniera. Secondo Obama, il killer è stato ispirato da una serie di informazioni disseminate in Rete: “Questo è un esempio del tipo di estremismo cresciuto in America che ci dovrebbe preoccupare”.
La convinzione che Mateen non abbia avuto alcun reale contatto con gruppi terroristici internazionali (nonostante il fatto che l’uomo sia stato per due volte in Arabia Saudita, in pellegrinaggio alla Mecca, nel 2011 e nel 2012) è confermata anche da James Comey, direttore dell’FBI: “Non è assolutamente chiaro quale gruppo terroristico Mateen volesse sostenere”. Al momento della telefonata al 911, poco dopo aver iniziato la strage al Pulse, Mateen ha infatti detto di aver compiuto il suo gesto in nome del leader dell’ISIS, ma anche in solidarietà con i fratelli Tsarnaev e con lo stesso Moner Mohammed Abusahla. Una molteplicità di appartenenze e rivendicazioni che fa pensare proprio a una conoscenza confusa, formatasi in gran parte su Internet, del mondo dell’estremismo islamista.
L’UOMO – Omar Mateen nasce a Long Island, New York, nel 1986. Nel 1991 la sua famiglia si trasferisce a Port Saint Lucie, a circa 180 km da Orlando. Mateen frequenta la Martin County high school di Stuart, una cittadina della zona. Fa diversi lavori. Dopo la laurea, si impiega in un’agenzia immobiliare. La sua prima moglie è Sitora Yusifiy, che sposa nel 2009 e da cui divorzia due anni dopo. Yusifiy nelle scorse ore ha dato una conferenza stampa. Ha descritto un uomo violento e con seri problemi di salute mentale. “Alcuni mesi dopo il nostro matrimonio, ho scoperto la sua instabilità, ha detto Sitora -. L’ho scoperto bipolare. Si arrabbiava per nulla, ed è allora che ho cominciato a preoccuparmi per la mia incolumità. Dopo un paio di mesi, ha iniziato ad abusare di me da un punto di vista fisico. Non mi consentiva di parlare con la mia famiglia, mi teneva in ostaggio”. La donna ha spiegato che l’ambizione di Mateen era di diventare agente di polizia. Ma era “mentalmente instabile, malato, ovviamente disturbato, profondamente traumatizzato”. Dopo quattro mesi di matrimonio, Sitora Yusifiy lascia Mateen.
E’ emerso che Mateen si è comunque risposato. Documenti bancari del 2013 mostrano che la seconda moglie di Mateen è Noor Zahi Salman. La coppia ha un bambino di tre anni. Proprio all’attuale famiglia di Mateen ha fatto riferimento il padre del killer, quando ha spiegato che il figlio è rimasto sconvolto dalla vista di due uomini che si baciavano: “Eravamo nel centro di Miami. La gente suonava della musica per strada. Omar ha visto due uomini baciarsi di fronte a sua moglie e suo figlio, e si è arrabbiato molto”.
Anche la figura del padre di Mateen è in queste ore passata al vaglio. Seddique Mateen, padre di Omar, è un immigrato afgano. E’ un venditore di polizze vita, che nel 2010 ha fondato una società, Durand Jirga (il nome si riferisce alla linea Durand, il confine conteso tra Afghanistan e Pakistan). Seddique Mateen aveva anche un programma televisivo in cui discuteva questioni legate all’Afghanistan. Durante il programma, sono state spesso espresse opinioni favorevoli ai talebani e diverse critiche alla strategia USA in Afghanistan.
L’instabilità psichica di Mateen, i suoi eccessi paranoici sono segnalati in queste ore anche da diversi altri testimoni. Un compagno di scuola ricorda di averlo visto esultare, di fronte alle immagini dell’11 settembre. Un collega di un golf club, dove Mateen ha lavorato, ricorda di averlo sentito insultare di frequente gay, ebrei, neri, politici, i soldati americani: “Aveva dell’odio forte, duro, dentro di lui. Mi diceva che gli americani hanno distrutto l’Afghanistan”.
Un’altra testimonianza importante in questo senso è venuta da un collega di Mateen alla G4S, Daniel Gilroy, ex agente di polizia. “Mi sono lamentato diverse volte con i miei responsabili. Gli ho detto che era pericoloso, che odiava i nei, le donne, le lesbiche, gli ebrei. Era incazzato, trasudava rabbia per il mondo”. A un certo punto la relazione tra Gilroy e Mateen è diventata tesa, sempre più tesa. “Mi mandava sino a 30 Sms al giorno, mi lasciava una dozzina di messaggi in segreteria telefonica” Alla fine Gilroy si è dimesso: “Se non me ne fossi andato, se avessi continuato a battermi contro di lui, forse oggi quelle 50 persone sarebbero ancora vive”, ha detto.
I MISTERI – Il profilo che emerge della vita di Mateen è quindi quello del figlio di immigrati che cerca di trovare una propria posizione e stabilità nel Paese di accoglienza. I compagni della high school lo descrivono gentile ma riservato, quelli della moschea che frequentava a Port Saint Lucie un “musulmano devoto“, che frequentava la moschea tre volte alla settimana ma che non dava alcun segno di estremismo o radicalizzazione. Con il tempo, con il fallimento del primo matrimonio, con il frequente cambio di posti di lavoro, Mateen diventa però sempre più aggressivo, instabile, imprevedibile.
C’è un altro dettaglio interessante che emerge in queste ore. La notte della tragedia non è stata la prima volta in cui Mateen è entrato al Pulse. L’uomo è stato visto da diversi testimoni, più volte nel passato, nel locale. “L’ho visto più volte al bar del Pulse, con un drink in mano”, ha detto Cord Cedeno, un frequentatore del locale. Un altro cliente, Kevin West, ha affermato di aver visto Mateen al pulse. Ma i due ricordano di aver incontrato Mateen anche in una app di incontri gay, Jack’d, dove Mateen aveva la sua foto. West si è incontrato con Mateen per un drink, dopo essere stato contattato da Mateen su Jack’d.
Perché Mateen aveva un profilo su una chat di incontri e sesso gay? Perché, da più di un anno, frequentava il luogo dove ha poi compiuto la strage? Sono domande che contribuiscono a rendere ancora più imprendibile il profilo dell’uomo responsabile della strage di Orlando.