Al prossimo Salone del Libro di Torino ci sarà uno stand di una casa editrice vicina a CasaPound. La decisione ha sollevato molte polemiche e ha determinato alcune reazioni di vario tipo: alcuni autori, come Wu Ming 4 che doveva presentare il suo libro proprio in quella circostanza, hanno deciso di non partecipare. Il consulente Christian Raimo, che faceva parte del comitato editoriale del Salone del Libro, ha dato le dimissioni mentre il direttore dell’edizione 2019 Nicola Lagioia ha espresso una posizione personale carica di dubbi e di preoccupazioni.
Non vi parteciperà neanche lo storico Carlo Ginzburg, mentre la scrittrice Michela Murgia sarà presente ma sta organizzando un documento di protesta a cui hanno già aderito numerose firme e ospiti del salone.
È stata emessa una nota del comitato di indirizzo della trentaduesima edizione del Salone del Libro in cui si afferma che per chi non ha commesso alcun reato è garantito il permesso di affittare uno spazio nella rassegna e che al tempo stesso è indiscutibile il diritto di chiunque di dissentire, richiamandosi proprio al fatto che il Salone del Libro può diventare uno spazio di dibattito. Anche alcuni esponenti dell’ANPI che dovevano intervenire all’evento non saranno presenti.
Durante la trasmissione Cult, abbiamo chiesto un’opinione a Oliviero Ponte di Pino che è un collega giornalista e uno scrittore, oltre che uno degli organizzatori di Bookcity, la manifestazione milanese dedicata ai lettori che da sempre è aperta alle proposte provenienti dall’esterno.
È una situazione complicata, entrano in gioco tantissimi fattori e raccontare tutto nei dettagli è sempre utile in questi casi perché è dai dettagli che si può capire cosa effettivamente sta succedendo.
Io ho fatto una scelta, ho deciso di non nominare la casa editrice, dico: “La casa editrice vicino a CasaPound”. Non dico il nome. Ma capisco anche i dubbi che sono stati espressi in diverse circostanze, lei cosa ne pensa?
Ho molti dubbi anch’io su tutta questa vicenda e sto cercando anch’io di capire che cosa stia succedendo. Secondo me il problema non è solamente la presenza di una o dell’altra casa editrice all’interno del Salone del Libro, il problema è la situazione politica italiana in generale: quello che sta succedendo in Italia in questi ultimi anni è molto chiaro e anche molto inquietante. Che tutto questo diventi incandescente solo e soltanto per il Salone del Libro mi sembra abbastanza curioso. L’altra questione interessante è che tendenzialmente le liste di proscrizione in questi mesi le hanno fatte alcune giunte di centrodestra. Vorrei citare un caso emblematico, quello che è successo a Udine con il premio Terzani. Non so se fare le liste di proscrizione sia poi la soluzione più corretta.
C’è una cosa che forse vale la pena di sottolineare, ne avevamo parlato con Heiko Koch che è l’autore del libro CasaPound Italia, l’eredità di Mussolini. Lui è tedesco è venuto qui a Radio Popolare qualche settimana fa e ci ha raccontato questo libro in cui scrive e analizza il modo in cui CasaPound si propone per modificare la sua immagine pubblica attraverso una serie di iniziative che vanno dai brand di moda, a una scena musicale dedicata molto seguita dai giovani e anche a una serie di case editrici.
Sono tante le case editrici che negli ultimi due o tre anni si sono avvicinate a quella parte. Quindi il fenomeno non si limita evidentemente allo stand al Salone del Libro, lei pensa sia stato po’ trascurato?
Una delle cose di cui ci siamo accorti a Bookcity è che le proposte che arrivano da destra, non necessariamente da CasaPound, negli ultimi anni sono aumentate. Sicuramente questo è un Paese dove c’è un pensiero di destra che cerca visibilità e che cerca espressioni in tantissime forme. A queste espressioni del pensiero di destra non so quanto, fino adesso, la sinistra abbia saputo rispondere. Esattamente come non ha saputo pienamente rispondere a quello che ha significato dal punto di vista politico il Movimento 5 Stelle. Quindi temo che ci sia un problema che va al di là dell’identificazione di qualche simbolo contro cui prendersela, credo che la battaglia culturale sia un pochino più complicata di così. Il rischio è di lasciare campo libero a quelli che si ritengono degli avversari.
Bookcity è effettivamente un termometro della società, della lettura e ha sempre fatto dell’ampiezza dei propri confini una delle sue caratteristiche principali. Le proposte di Bookcity sono ad ampio spettro anche perché si tratta di una manifestazione un po’ diversa, ma se si verificasse la stessa situazione, cosa bisognerebbe fare?
Non devo decidere soltanto io anche se penso che sarà un problema da porsi. Per esempio l’anno scorso, ad un incontro di Bookcity, si è presentato tra il pubblico il Ministro degli Interni Matteo Salvini ed è stato accolto con fraterna amicizia da uno dei relatori. Era un intervento con Mauro Corona, si conoscono, sono amici e si stimano. Cosa bisogna fare in un caso del genere? Un organizzatore non può decidere che siccome Salvini va a un evento bisogna fare chissà che cosa. Il problema è quello che facciamo noi, non quello che fanno gli altri. È chiaro che chi partecipa a un evento come come Bookcity tendenzialmente accetta le regole del gioco di Bookcity che è una manifestazione democratica, aperta e antifascista. Come è la città di Milano e come è l’Italia. L’apologia di fascismo è un reato però non siamo noi che possiamo sostituirci alla magistratura. Il problema non è solo tanto quello che fanno quegli editori ma è anche quello che fanno gli altri, è il tipo di battaglia culturale che stiamo combattendo in Italia negli ultimi 15-20 anni. Fare battaglie di principio va benissimo, però bisogna essere consapevoli che lo scontro è più complicato di così.
La discussione andrà avanti a lungo perché davvero c’è da interrogarsi sia su quale ruolo è il caso di assumere rispetto all’evoluzione della realtà che forse stata colpevolmente trascurata e quindi ne parleremo nel corso del Salone. Oltre a questo Oliviero Ponte di Pino sarà ospite del Salone del Libro con una sua pubblicazione.
Presenterò una rivista a cui collaboro che si chiama PreText che tratta di editoria. È una rivista che si occupa dei cambiamenti dell’editoria, del mondo dei libri, del giornalismo e della sua storia perché senza storia non si capisce quello che sta cambiando. Verrà presentato l’ultimo numero, il decimo. È da diversi anni che esiste questa rivista, diretta da Ada Gigli Marchetti. Per questo nuovo numero ho scritto un saggio in cui cerco di capire quello che succede nel mondo dell’editoria, già disponibile in anteprima sul sito di Doppio Zero. In particolare scrivo del modo in cui stanno cambiando le case editrici che non sono più soltanto aziende che producono degli oggetti fisici, cioè i libri, ma hanno ampliato la loro gamma di attività. È una cosa che già succedeva prima, di fatto le case editrici non sono mai state semplicemente fabbricanti di libri, ma nello scenario in cui viviamo assumono tinte diverse. Le case editrici di destra stanno compiendo esattamente questa trasformazione, forse inconsapevolmente ma la stanno mettendo in pratica.
L’idea è quella di darsi una struttura culturale più precisa e più definita, che rispecchia un’evoluzione dello scenario politico della nostra realtà.
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