Il governo Renzi sapeva che l’omicidio Regeni è stato commesso dagli apparati di sicurezza egiziani. Lo scrive il New York Times. Palazzo Chigi, scrive il giornale, lo ha saputo presto, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo del giovane ricercatore, quando ancora dall’Egitto arrivavano i depistaggi che attribuivano la morte alle più svariate circostanze. Le notizie a Roma, in quei giorni, arrivavano dai servizi segreti degli Stati Uniti.
L’amministrazione americana contattò il governo italiano e lo informò di quanto risultava ai propri servizi: a uccidere Giulio erano stati gli apparati di sicurezza egiziani. E ai più alti livelli del regime egiziano sapevano. Il NyTimes scrive anche che i servizi americani non avevano indicato specifici colpevoli per evitare di bruciare le loro fonti. Il che consente a Palazzo Chigi di dire, oggi, che non c’erano prove concrete.
Il NyTimes ha avuto conferma di questo da tre fonti dall’amministrazione Obama: Washington aveva ottenuto “prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana“, “non c’era alcun dubbio“. Secondo il giornale, Washington passò queste conclusioni al governo Renzi. Ma, per evitare di scoprire le proprie fonti, le autorità statunitensi non condivisero interamente le informazioni con Roma e non rivelarono quale agenzia di sicurezza credevano ci fosse dietro l’omicidio di Regeni. “Ciò che gli americani sapevano per certo, e che dissero agli italiani, era che la leadership egiziana era totalmente consapevole delle circostanze attorno alla morte di Regeni”. “Non avevamo alcun dubbio che i vertici sapessero“, ha riferito un altro funzionario.
L’inchiesta affronta anche un’altra questione spinosa: le tensioni tra gli apparati dello Stato italiano per la collaborazione tra l’Eni e i servizi di intelligence sul caso del ricercatore ucciso. “Il ministero degli Esteri e i servizi hanno iniziato a guardarsi con sospetto, a volte tenendo per sé delle informazioni”. Il Times parla apertamente di “fratture” all’interno dello Stato italiano. “C’erano altre priorità. I servizi di intelligence italiani avevano bisogno dell’aiuto dell’Egitto nel contrastare l’Isis, gestire il conflitto in Libia e monitorare il flusso di migranti nel Mediterraneo“. A questo bisogna aggiungere il ruolo dell’Eni, che solo poche settimane dell’arrivo al Cairo di Regeni aveva annunciato una grande scoperta: il giacimento di gas naturale di Zohr, 120 miglia a nord della costa egiziana, contenente 850 miliardi di metri cubi di gas, conclude il NyTimes, ricordando il fabbisogno energetico italiano e l’importanza per il nostro Paese della stessa Eni.
Queste le rivelazioni di uno dei più autorevoli quotidiani del mondo. Il governo italiano sapeva, fin quasi dall’inizio della vicenda, che a ucciere Giulio Regeni sono stati gli apparati di sicurezza del Cairo. E anche se fosse vero che le informazioni dei servizi americani non contenevano i nomi degli ufficiali coinvolti, questo interessa semmai la procura di Roma che sulla vicenda sta indagando. La responsabilità penale, che è sempre personale. Ma quella politica no: se è vero che quelle informazioni c’erano, tanto sarebbe dovuto bastare a Renzi e a Gentiloni, allora ministro degli Esteri. Il governo si è mosso per alcuni mesi in coerenza con queste informazioni e con il quadro emerso attorno alla vicenda – ritiro dell’ambasciatore, richiesta di verità – ma nonostante queste prese di posizione, apparentemente dure nei confronti del Cairo, l’azione di Roma ha avuto in realtà sempre un’altra priorità: gli interessi economici in Egitto. Fin dall’inizio, è stata scelta la ragion di Stato. Il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo – che ha suscitato l’indignazione della famiglia regeni – è la normalizzazione di questi rapporti e la pietra tombale per la verità sul caso Regeni.