Quando l’obiettivo finale è la costruzione di una nuova megalopoli, in grado di superare persino Dubai, la distruzione di ecosistemi e la messa a rischio di importanti zone umide, nonché dei milioni di lavoratori che ne dipendono sono visti soltanto come mezzi necessari e sacrificabili.
No? Stando al quotidiano britannico The Guardian, per gli abitanti delle isole di Bundal e di Buddo, nel delta dell’Indo, in Pakistan, sembra proprio così e l’idea di dover abbandonare il territorio in cui hanno vissuto per secoli, di vedere distrutti i propri luoghi di culto e di assistere alla distruzione dei propri mezzi di sussistenza senza combattere, ai loro occhi, è inammissibile.
Il progetto di costruire una nuova, grandissima città insulare è ormai decennale: già nel 2006 l’allora Presidente Musharraf aveva firmato un memorandum d’intesa con i costruttori di Dubai, il cui oggetto era la vendita di 16 km di Costa.
Nel 2013, invece, Malik Riaz, magnate pakistano e fondatore della più grande società privata di sviluppo immobiliare in Asia, aveva firmato un accordo con l’ investitore americano Thomas Kramer, famoso per i suoi progetti di sviluppo a South Beach, in Florida. Il fine dell’accordo era la costruzione di Bodha Island City, una sorta di ‘città del futuro’, che tra le attrazioni principali avrebbe potuto vantare il centro commerciale più grande al mondo e l’edificio più alto del pianeta. Tutto ciò previsto nelle isole gemelle di Bundal e Buddo, appunto.
Tutto ciò sembrerebbe troppo pretenzioso e stravagante, se non fosse che il progetto è già in atto e che è motivo di una crescente tensione tra governo provinciale e federale.
Il presidente Arif Alvi, il 31 agosto, aveva promulgato un’ordinanza per rilevare le due isole gemelle nonostante l’opposizione del gabinetto del Sindh, la provincia delle due isole. Il governo centrale ha dichiarato che il progetto va a beneficio della popolazione locale perché creerà nuovi posti di lavori, attirerà capitali per un valore di 50 miliardi di dollari e renderà le due isole una destinazione turistica.
Ma intanto i sei milioni di pescatori locali stanno vedendo scomparire i loro mezzi di sussistenza, i loro santuari, la loro casa. Negli ultimi mesi, inoltre, il movimento “Salva le isole”, che avevano fondato gli attivisti shindi e che aveva velocemente preso piede tra la comunità, è stato limitato e ai pescatori è stato vietato l’accesso all’isola di Buddo.
Secondo gli ambientalisti la costruzione della “nuova Dubai” distruggerà le zone umide, precedentemente dichiarate protette e in pericolo dal Governo. Nel delta dell’indo, infatti, sorgono le più grandi foreste di mangrovie del clima desertico del mondo, importanti non solo per gli ecosistemi che ospitano ma anche per la funzione che svolgono come “cuscinetto” tra l’oceano e la città di Karachi, capitale della provincia del Sindh e città più popolosa del Pakistan; una funzione essenziale, che in molte occasioni ha salvato la città dalla furia dei cicloni tropicali, cui Karachi è altamente esposta.
Insomma, tra le fratture politiche, la perdita di milioni di posti di lavoro, gli enormi danni ambientali e la rabbia popolare, sono molti i fattori che porterebbero a pensare che il gioco non valga la candela e che, forse, anche lo sviluppo economico possa avere un limite. Diventa davvero tutto sacrificabile in nome della crescita dei capitali?
Diana Novelletto
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