È comprensibile che il presidente ucraino Zelens’kyj, dopo aver ricevuto armi dall’Occidente (noi compresi), abbia cercato di alzare il tiro chiedendo alla Nato di intervenire per chiudere militarmente il cielo ai russi. È comprensibile perché lotta per l’indipendenza del suo popolo.
Ma una No fly zone significherebbe l’ingresso in guerra diretto della Nato contro la Russia, insomma un ulteriore escalation con una sola direzione, la terza guerra mondiale.
Per fortuna la Nato per ora ha detto no e Zelens’kyj si è arrabbiato molto.
Ma quello che è successo tra Zelens’kyj e la Nato pone una domanda, a noi europei: fino a che punto siamo disposti ad arrivare per difendere l’Ucraina aggredita? Siamo disposti a entrare direttamente in guerra, dopo averlo già fatto indirettamente?
È una domanda a cui non si può sfuggire e che ci dobbiamo porre con realismo e pragmatismo. A che punto ci dobbiamo fermare? O non ci dobbiamo fermare affatto e dobbiamo far valere le ragioni dell’Occidente fino al rischio di apocalisse nucleare?
I pacifisti, compresi quelli che erano in piazza sabato, sono spesso accusati di essere ideologici, di non fare i conti con la realtà. Oggi sembra che le posizioni si siano invertite: i pacifisti chiedono realismo, diplomazia, trattative, mosse scacchistiche e compromessi; gli altri invece si sono messi l’elmetto e non escludono altro, cioè uno scontro totale tra Occidente e Russia qualsiasi cosa implichi, come chiede Zelens’kyj.
Ora, noi al contrario della Russia siamo una democrazia, una società aperta, figlia di John Locke e di Jürgen Habermas, insomma con un’opinione pubblica.
Che risposta diamo quindi, come opinione pubblica, a questa domanda? Che indicazioni diamo su questo a chi ci governa?