C’è una lista, che viene compilata ogni anno da Reporters Sans Frontier, dei “Press freedom predators”, i predatori della libertà di stampa. Nella lista di quest’anno, c’è anche Rodrigo Duterte, il presidente delle Filippine. La sua è letteralmente una guerra aperta contro i giornalisti e tra i suoi bersagli preferiti c’è Maria Ressa e il suo sito d’informazione indipendente Rappler.
Il nome “Rappler” arriva dall’unione delle parole “Rap”, che significa “discutere” e “Ripple”, letteralmente “fare onde”. E questa è esattamente la missione della testata e della sua fondatrice, Maria Ressa: mettere in discussione la realtà dei fatti e soprattutto la realtà del potere, e fare onde. Smuovere le cose.
Più volte Duterte ha attaccato violentemente i giornalisti come categoria, definendoli “feccia”, “spie”, “avvoltoi” e “nemici del popolo”, arrivando ad augurarsi di poter “uccidere il giornalismo” nelle Filippine: “Solo perché siete giornalisti non siete esentati dall’essere assassinati”, ha detto nel 2016. Facilmente ha imposto la sua linea ai giornali posseduti dai molti uomini d’affari che lo sostengono e, quindi, tutti gli altri media, quelli indipendenti, sono diventati automaticamente d’opposizione, con tutto quello che questo comporta per la sicurezza dei giornalisti.
Il presidente filippino usa tutti i mezzi in suo potere – e considerando la sua posizione, non sono pochi – per screditare i giornalisti liberi e rendere il loro lavoro impossibile. Le modalità con cui persegue questa guerra al giornalismo sono tante: false accuse di diffamazione, evasione fiscale, o violazione a vario titolo della legge, ma anche negare la licenza a radio e tv per trasmettere o utilizzare il suo esercito di troll per denigrare i giornalisti e renderli vittime di continue molestie online.
Il caso di Maria Ressa è piuttosto emblematico. Continuamente accusata e arrestata per i più svariati motivi, nel giugno del 2020 è stata per la prima volta condannata da una corte di Manila con l’accusa di aver violato la legge sulla “Cyberdiffamazione”. Una legge che, oltre ad essere terribilmente vaga come spesso accade con le norme che mirano a screditare il lavoro giornalistico – è anche entrata in vigore 4 mesi dopo l’uscita dell’inchiesta di Ressa incriminata. Il giudice che l’ha condannata aveva stabilito che Rappler aveva “ripubblicato” la storia quando, nel 2014, aveva corretto un errore di ortografia, rendendola così sottoposta alla nuova legge.
Essere un giornalista nelle Filippine non solo non è facile, ma è anche molto pericoloso. Reporter Sans Frontier posiziona il paese al 138esimo posto per libertà di stampa su 179. Ma purtroppo, non è l’unico. Il premio Nobel per la pace a Maria Ressa, così come quello al collega russo Dimitry Muratov, assume il senso profondo che dovrebbe avere se – e solo se – non si dimentica tutto il resto del mondo e le centinaia di giornalisti che combattono senza scalpore per un’informazione giusta e democratica. Una cosa che è molto chiara a Maria Ressa stessa e al suo sito Rappler, che commentando la vittoria della fondatrice, ha scritto: “Ringraziamo il Nobel per aver riconosciuto tutti i giornalisti sia nelle Filippine che nel mondo che continuano a far brillare la luce anche nelle ore più buie e difficili“.