Dunque tocca al Parlamento: la Consulta ha sentenziato in continuità con la sua pronuncia dello scorso novembre. L’autonomia differenziata va riscritta dalle Camere, perché così come era stata approvata a giugno minava i principi costituzionali di eguaglianza, unità del Paese, sussidiarietà e solidarietà. Il referendum, che voleva abrogare l’intera legge e non solo gli aspetti segnalati dalla Corte, non si può fare perché diventerebbe di fatto un voto sulla possibilità stessa dell’autonomia, che è pur prevista dalla Costituzione. Vedremo se la Destra sarà in grado di rispettare i paletti della Consulta, o produrrà un altro obbrobrio, o magari tutto finirà su un binario morto.
Il voto popolare avrebbe potuto togliere di mezzo una volta per tutte una riforma che, con quella della giustizia e quella del premierato, può rendere più debole la nostra Democrazia. Certo il quorum sarebbe stato difficile da raggiungere, ma ne sarebbe valsa la pena. La Presidente Meloni aveva detto che se avesse perso il referendum non si sarebbe dimessa, ma la possibilità di cancellare una riforma bandiera della Destra avrebbe prodotto un grande movimento nella società civile e nei partiti di opposizione, come è successo la scorsa estate per la raccolta delle firme.
Paradossalmente, mentre escludevano il referendum e affidavano al solo Parlamento il destino dell’autonomia differenziata, gli 11 giudici costituzionali decidevano di eleggere il loro nuovo Presidente senza più aspettare. Lo stesso Parlamento infatti non è stato neanche in grado di trovare un accordo sui nomi dei 4 membri mancanti.