Donald Trump e Bernie Sanders sbaragliano come previsto gli avversari nelle primarie del New Hampshire. Il senatore del Vermont ottiene il 60 per cento dei consensi. Il magnate repubblicano il 34,5. Per la sconfitta Hillary Clinton, come ha detto lei stessa, si tratta “di una sveglia potente”. Oltre Trump, il partito repubblicano si trova invece sempre più in difficoltà, senza un candidato di establishment da appoggiare.
I DEMOCRATICI – Il voto in New Hampshire non potrebbe essere più soddisfacente per Sanders. Etichettato come il candidato dei più giovani e della middle-class abbiente e bianca, Sanders vince invece praticamente in ogni gruppo sociale – quelli che guadagnano meno di 50 mila dollari all’anno e quelli con redditi più alti -, tra i minori di 35 anni e i maggiori di 65. La vittoria è così forte che nell’Ovest dello Stato, confinante con il suo Vermont, Sanders è arrivato a percentuali di consensi oltre il 70 per cento. Nel discorso immediatamente successivo alla sua proclamazione, Sanders ha sottolineato ancora una volta il carattere di outsider della sua campagna: “Mi han tirato dietro di tutto – ha detto – tranne il lavandino della cucina. Ma temo mi tireranno dietro anche quello”.
Festeggiata la vittoria, esibita ancora una volta l’eccezionalità della sua campagna – “sono qui grazie a 3,7 milioni di donazioni individuali”, ha detto – Sanders ora deve affrontare la fase più difficile. La campagna si sposta a Sud e a Ovest. Soprattutto si sposta in Stati, South Carolina, Nevada, Alabama e Georgia, dove il voto di afro-americani e ispanici diventa determinante. E Sanders ha proprio nell’appoggio delle minoranze il suo tallone d’Achille.
Oggi, a New York, il senatore del Vermont vedrà il reverendo Al Sharpton, uno dei punti di riferimento delle comunità afro-americane. Probabile che, a questo punto, nel partito democratico si scateni una sorta di “battaglia etnico-razziale”, a chi è più capace di conquistare quel tipo particolare di elettorato. Se infatti Sanders vede Al Sharpton, la Clinton farà compagna con le madri di Trayvon Martin ed Eric Garner, due delle vittime nere di abusi e violenze. Hillary, dicono i suoi collaboratori, parlerà anche nei prossimi comizi di “giustizia razziale” e di riforma del sistema penale americano.
La Clinton è comunque la vera sconfitta della serata. Il misero 38,4 per cento ottenuto fa impallidire la vittoria che l’ex-segretario di stato riuscì a ottenere qui contro Barack Obama nel 2008. Se si tiene presente che Hillary ha fatto una campagna massiccia ed era appoggiata da tutta la nomenclatura democratica, dal governatore al senatore alla macchina del partito, la sua sconfitta appare ancora più bruciante. Ora la campagna si sposta a Sud e all’Ovest, in Stati a lei più favorevoli. Ma la Clinton, come ha ammesso lei stessa, deve “lavorare di più”. In altre parole: deve cambiare velocemente strategia. Nelle ultime settimane è sembrata subire il messaggio egualitario e anti-establishment di Sanders. Il suo passato, che lei continua ostinatamente a proclamare ma che la perseguita per le sue relazioni con i potentati economici, non sembra l’arma migliore per farla crescere. Urge, appunto, un deciso cambiamento di rotta. Per arginare lo slancio che Sanders acquista con il voto del New Hampshire. Per tornare a essere la candidata “inevitabile” che era sino a qualche mese fa.
I REPUBBLICANI – La serata in New Hampshire è dolcissima per Donald Trump e ancora una volta amarissima per il partito repubblicano. Trump prevale con il 35,1 per cento dei voti. Al secondo posto il governatore dell’Ohio, John Kasich, un moderato che in queste settimane ha rilanciato soprattutto un messaggio “positivo”, come ha spesso detto, tirandosi fuori dalla battaglia senza esclusione di colpi in atto nel partito. Gli elettori lo hanno premiato. Trump però esce lanciassimo dal voto in New Hampshire. Secondo i primi rilevamenti, lo hanno votato molti indipendenti; di più, un sondaggio tra gli elettori repubblicani accorsi alle urne dice che la maggioranza di questi, a prescindere dal candidato che hanno scelto, non ha “particolari problemi” a trovarsi Trump come nominato ufficiale. Questo significa che il mogul acquista in autorevolezza, non è più soltanto il candidato dei settori del partito e della società più arrabbiati, ma anche di una fetta più tradizionale e mainstream di elettorato.
A preoccupare ulteriormente il G.O.P. c’è poi un altro dato. In Iowa i big repubblicani pensavano di aver trovato il loro candidato, l’alternativa finalmente forte e possibile a Trump: Marco Rubio. In New Hampshire, Rubio si è fermato al 10,5 per cento (gli è stata probabilmente fatale la brutta figura nel dibattito televisivo di sabato scorso). Se il senatore della Florida non sembra più, o non sembra ancora, l’uomo da contrapporre a Trump, non è emerso dal voto in New Hampshire nessun altro candidato forte che possa prendere in mano la fiaccola di rappresentante ufficiale della nomenclatura. Jeb Bush e Chris Christie ormai vivacchiano; Ted Cruz è inviso ai leader di Washington come, se non più, di Trump; John Kasich è ancora troppo defilato per sembrare un candidato su cui puntare.
Senza una strategia chiara, con un Trump galvanizzato dal voto in New Hampshire, la gara si sposta ora a Sud. Probabile, molto probabile, che l’incertezza nel campo repubblicano, la ricerca di un candidato su cui trovare un compromesso, dominino ancora per molte settimane.